Hai voglia a sbizzarrirti, se devi decidere chi sale e chi scende alla voce centrocampo nella testa del Gasp. Difficile credere che l’innesto di Bryan Cristante possa spostare di molto equilibri e gerarchie piuttosto fluide. Non basta nemmeno osservare i fatti, cioè enumerare le presenze concesse ai singoli, i gol, gli assist. Perché in teoria ci sono validi comprimari senza la certezza della parte. Perché è il reparto cruciale nell’economia degli schemi dell’Atalanta e di avvicendamenti in mezzo non ce ne sono stati pochi, anche a causa dell’addio alle armi di Roberto Gagliardini e della temporanea assenza del trascinatore Franck Kessie, giusto per assaggiare il girone eliminatorio della Coppa d’Africa e tornarsene alla base con le pive nel sacco. L’ivoriano, insieme alla spola umana Jasmin Kurtic, è il punto fermo della fiumana di giocatori deputati a far argine e a rompere l’altrui ribaltando il fronte.

I due sono complementari e irrinunciabili, tutto il resto gira intorno a loro. L’afro appena ventenne è istinto puro nello sradicare palloni, nel buttarli dentro (6, capocannoniere con Gomez), nel rubarli ai compagni se si tratta di deciderla dagli undici metri (contro il Torino toccava a Paloschi), negli inserimenti, nell’alzarsi ad ala effettiva ammollandone in mezzo perché qualcuno combini qualcosa, tipo Caldara con la Roma e D’Alessandro in tap-in anti Empoli. La sorpresa più entusiasmante in nerazzurro, una plusvalenza su tacchetti che per andare a mille ha avuto bisogno di una gavetta cortina, sei mesi in Primavera e un’annata cadetta a Cesena. Che girasse a velocità quadrupla rispetto a chiunque lo si era notato anche durante la preparazione estiva: duro, inflessibile, gamba mai tirata via, intelligenza nelle due fasi senza perdere tempo a rimuginarci. Scene da un interno, quel che invece lo sloveno lungo come la fame non è più da quando è stato alzato davanti alla mediana per tenere a bada il portatore di palla avversario e mettere la freccia quando si attacca. Cinque a referto, appena oltre il giro di boa, sono già il suo bottino personale più cospicuo. E pazienza se a volte non ci prende, col risultato d’incornare a vuoto il Toro nell’arena nemica nonostante tre assalti alla picca. Il problema è l’assenza di alternative in un ruolo non alla portata delle doti atletiche di chicchessia, perché se non ci pensa il trecciolone non si vede come possa adattarsi la new entry Anthony Mounier, più ala da tridente o seconda punta che suggeritore fra le linee e sicuramente non uso a pressare alto.

Se nomi e volti dei moloch sono arcinoti, è fin troppo comodo pescare nel mucchio selvaggio colui che proprio non ce la fa a convincere il mister, cioè il prestito di ritorno Alberto Grassi, che Edy Reja considerava il suo figlioccio in campo per la grinta e la corsa avantindré. Stavolta deve limitarsi al compitino, stretto com’è nella morsa della concorrenza. Remo Freuler è un ottimo metronomo, due nella porta di suo e almeno otto palle inattive (corner) da cui è sfociato qualcosa di buono, ma sa darsi da fare anche nelle folate in avanti e in copertura, rosicchiando al valgobbino del Napoli parecchie delle possibili chances. Il boy sfornato dalla cantera di Zingonia con l’ottantotto sulle spalle, abile e arruolato dal fischio d’inizio soltanto nei retour match con Chievo e Torino, è stato a un passo dallo sbolognamento a Empoli, trattativa a quanto sembra bloccata dall’uomo in sella, che per converso gli ha messo tra i piedi l’ex milanista a titolo temporaneo dal Benfica per complicargli la vita ingarbugliando ancora di più la matassa. Facile da sbrogliare sui lati, dove il pendolino Andrea Conti e il formidabile tuttofare (senza gol in canna, però) Leonardo Spinazzola, con il nuovissimo Hans Hateboer e l’acciaccatissimo Boukary Dramé a dar loro il cambio, sono tra i primi piatti di un menù ricchissimo e gradito al palato di staff e appassionati. Grassi è uno di quelli che ha avuto quarti d’ora di fama solo in coppa, con Pescara e Juve, ovvero primo gol da professionista e un’oretta in chiaroscuro per poi cedere il posto a Latte. Nel borsino le quotazioni in risalita, a Migliaccio (una comparsata) ormai agli sgoccioli, appartengono al futuro della mediana, il play azzanese Under 19 Filippo Melegoni. Un tempo contro la Samp, nell’esordio in campionato dal primo minuto insieme all’altro ’99 d’oro Bastoni, ha raccontato che, parafrasando il suo antico maestro nelle giovanili Alessio Pala, il tipetto dell’hinterland del capoluogo deve ancora riempirsi per tenere botta coi big. Sul piano della tecnica pura, siamo al massimo possibile, tra ritmi, visione di gioco e piede rotondo, materiale utile a vestire i panni del direttore d’orchestra e a schiaffarla direttamente da calcio da fermo, prodezza centrata nelle scorse finali Under 17 con tricolore cucito sul petto. La ricchezza del lotto è tutta qui: c’è l’imbarazzo della scelta tra seminuovo, nuovo e nuovissimo, tra pochi mestieranti e qualità a non finire.

Simone Fornoni