di Simone Fornoni
Bella lì. Conti – poi D’Alessandro – e Spinazzola alti con Raimondi e Dramé dietro, diventati Conti-Raimondi con arretramento del primo e cambio di fronte del secondo per il ko del franco-senegalese. L’Atalanta s’è risvegliata nel sesto start di fila percassiano in serie A con uno strano deja-vu nelle vene e sullo scacchiere. Un’estate intera a discettare amabilmente sul 3-4-3 della rivoluzione copernicana di Gasperini e invece ti ritrovi un modulo alla Colantuono. O alla Delneri, toh, per chi preferisce scacciare l’ombra scomoda del football sparagnino dell’anziate. Tutto corrisponde. Corsie ravanate up and down, presidiate zolla per zolla almeno nelle pie intenzioni, lettone a quattro piazze dietro per scongiurare la coperta corta, il fantasista (Gomez) in appoggio alla prima punta (Paloschi) e dedito a smazzare le carte ai giocatori d’azzardo in arrivo dalla riga laterale a mo’ di sbuffanti trenini del Bernina.
Quattroquattrodue, o quattrounouno. Benché poi, minimo minimo, un esterno basso a caso s’alzasse sempre dando adito all’equivoco tattico che ha indotto parecchi on line a disegnare strategie mai viste sul campo perché mai adottate da anima viva. Alla fine i nostri hanno chiuso all’arrembaggio con una specie di 3-2-5, D’Alessandro-Gomez-Petagna-Paloschi-Spinazzola in attacco, roba da far invidia alla bi-zona di Oronzo Canà. Che casino. Troppe pedine, magari nelle singole situazioni di gioco, devono aver smarrito la trebisonda perché nutrite a scoppiapancia, a base di pane e metodi rivoluzionari, durante una pre-season che sembrava prefigurare l’ingresso a calici levati nel calcio champagne. Classica crisi di rigetto, per aver rinnegato il proprio credo solo perché dall’altra parte c’era un tridente da tenere al guinzaglio, e l’equilibrio va a farsi benedire. E che Lazio furbona, pratica ed essenziale nel dipanare sulla pelouse il giochino più vecchio del pianeta, attesa e contropiede fulminante. Tra lo svenimento di Dramé e quello del guardalinee Alassio, tra errori di posizione perfino sui rimpalli che spalancano a Immobile e  Lombardi le autostrade del rompighiaccio e del tris, tra le belle statuine sulla palla inattiva dello 0-2 e i terzini che spesso salivano entrambi sciaguratamente, tra l’errore di Sportiello e il bis di papere di Marchetti tanto per agevolare il conato di rimonta by Kessié nel secondo tempo più pazzo del mondo, tra le imbucate dei tardo-inseriti Cataldi e Petagna e l’apprensione del pubblico ogni volta che Kurtic toccava palla (ma il 2-3 è nato da lui…), nella soirée domenicale a Bergamo all’esordio del campionato ne è successa davvero di ogni.
Eccoci, appunto, al qui pro quo che conta davvero al di là dei numeri e dei nomi, purtroppo in negativo: lo spettacolo non è mancato, anche se da thrilling puro dalla cintola in giù, ma lo score ha detto tre a quattro. E all’intervallo era un tris secco per il nemico. Inutile sprecare i se e i ma per la traversa del Palo sullo zero a zero o per qualche altra occasioncella creata e non sfruttata, quando a conti fatti l’obiettivo è sfumato a causa dello scarso senso pratico nelle cose semplici. Pensare di centrare una salvezza comoda prendendo un poker a partita non esiste proprio. Non sta scritto nella Bibbia che dal 4-3-3 ci si debba difendere con due terzini e due centrali. Poteva starci benissimo un 3-5-2 con mediana a densità pari e i due pendolini che rinculano in fase di non possesso. Per il prosieguo della stagione, quindi, meglio che le elucubrazioni e gli esperimenti azzardati in quota dilettevole cedano il passo all’utile. Chissà se il Cola, guardando la lettura tattica di ieri del Gasp, così simile alla sua se non fosse per le pertiche di terreno scoperte, non avrà sorriso dietro il teleschermo.

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