di Matteo Bonfanti
Nell’ormai consueto articolo settimanale di psycoterapia personale, regalo il consueto esempio da non seguire se il vostro obiettivo è vivervela meglio. So che nella maggior parte dei casi non è così, che chi è qui, dico sul mio ennesimo tragicomico pezzo, ha una certa propensione al masochismo e all’autolesionismo perché la lettura somiglia all’amore, vale il detto “chi si somiglia si piglia”. Resta comunque la speranza che le mie parole possano essere di conforto, sul modello della frase sentita otto milioni di volte dalla mia povera madre nei giorni in cui mi lamento di essere stato fatto parecchio male: “Pensa a chi sta peggio di te, agli africani che non mangiano un fico secco”. Da lì il mio solito viaggio: il pensiero di caricare un aereo Alitalia, che tanto ormai volano gran poco, di fichi secchi, un genere di frutta che in Italia non va manco più di moda e ne abbiamo i container pieni, e lanciarli giù alle popolazioni del Sudan e del Ciad per sfamarli. Sento che mi aiuterebbe, la smetterei di sentirmi in colpa con loro le mattine che vado a far colazione dalla Terri e mi pappo due brioches al pistacchio mentre mi leggo l’oroscopo della Gazzetta dello Sport nella speranza che le previsioni astrologiche per noi acquari comincino a essere decenti.
Parentesi fichi secchi chiusa, l’idea odierna è di regalarvi un piccolo e prezioso consiglio per affrontare l’arrivo dei quarant’anni che io faccio il prossimo 15 febbraio. Come al resto della mia leva, l’imminente maturità mi sta portando un sottile, ma continuo sconcerto: mi sento ancora giovane giovane, appena fuori dall’adolescenza, ma la realtà è ben diversa. Spesso il mio corpo non risponde più alla mia testa, fa tipo il computer quando s’incazza perché il giorno prima non l’ho chiuso seguendo la procedura, ma ad minchiam, staccando la spina, magari di soppiatto, senza avvertirlo che l’avrei mandato a dormire. E lui, dico l’amico pc, me la fa pagare, mettendoci un quarto d’ora per aprire Word, mezz’ora per avviare Internet e i suoi allegri social, fa il lentone, col muso, per niente collaborativo, capita addirittura vendicativo, capace di bloccarsi all’ultima parola di un articolo di quattromila battute, ovviamente non salvato. Uguale il mio fisico: se nella giornata precedente non l’ho spento correttamente (con la tisana al melograno, i biscottini alla crusca e altri cibi tristissimissimi come le polpettine vegetariane agli spinaci, una verdura inventata da gente priva di gusto, egoista, crudele), il corpo non risponde ai comandi. Gli dico: “muovi il collo” e mi si alza il braccio sinistro oppure “fai il dito medio all’automobilista che mi ha suonato perché non ho visto lo stop” e la mano gli fa un timido ciao, quasi affettuoso. Ancora: invio l’impulso “gambe, saltate la recinzione arancione che vieta l’accesso all’interessante cantiere di via Broseta” e loro non si staccano da terra neppure di un centimetro e finisce che centro la barriera in pieno e m’infortunio tra le risate dei vecchietti presenti, i molti che controllano i lavori e che dovremmo ringraziare ogni giorno del prezioso aiuto che danno all’intera comunità. L’invecchiamento è un problema, da qui una regola semplice semplice, facile da seguire, senza eccessivi sbattimenti, che a me ha portato un discreto giovamento.
Trasformare i figli in telecomander umani di un certo livello. Tipo: sono le sette di sera, sono sul divano, sto guardando l’ultimo episodio di The Affair 3, a metà c’è la pubblicità e mi viene improvvisamente in mente che avevo organizzato un veloce aperitivo nel Borgo con i soliti amici. Dovrei alzarmi a prendere il telefono, ma non ricordo dove l’ho appoggiato perché ho i neuroni ridotti al minimo per via che non si rigenerano e io me ne sono già giocati un sacco. Dovrei avvisare che sono in ritardo, ma tirarmi in piedi di scatto potrebbe arrecarmi grossi danni all’usurata schiena. Chiamo i miei bambini, che ho educato bene, ripetendogli quotidianamente che il loro padre è anziano e pure leso, e se ne occupano loro: si mettono al volo, paiono Mario e Luigi Bros, recuperano il cellulare finito sotto il divano, poi mandano il messaggio di scuse aggiungendo un paio di cuori, che non guastano mai, quindi vanno al bar a relazionare i presenti sul mio stato psicofisico. Oppure: mi alzo col desiderio di mettermi la giacca dell’anno scorso (“così mi riconosco ed esco”), ma è misteriosamente scomparsa in quella pantanella maleodorante che è il mio armadio, da un biennio il carcere del nostro cattivissimo Furby. Aprire il guardaroba potrebbe svegliare l’animaletto elettronico, un vero scassacazzo, irrequieto, offensivo, negativo, insomma preso male, o sprigionare batteri che alla mia età potrebbero portarmi a influenze letali. Niente paura: faccio annusare ai miei figli i calzini che indosso da qualche giorno, Vinicio e Zeno sono giovani, hanno ancora un fiuto formidabile, lo seguono e mi portano la giacca, indenni, sani e salvi.  Pensateci, i campi dove i bambini possono essere utilizzati sono molteplici: bastoni durante le passeggiate in montagna, calcolatrici quando si va a far la spesa, radio in macchina, sempre televisori in tecnicolor tanto sono bellini e spensierati nei loro racconti.
Usateli e fatelo presto, prima che diventino adolescenti, quando gli verrà fuori il carattere del Furby e se vi capiterà di chiedergli un favore, vi tireranno un cartone in testa finendovi a calci sul costato.