Il cultore del picchetto di guardia a tre contro uno che la linea a quattro non l’abbandonerebbe se non in caso d’ecatombe in infermeria a partita in corso. Il 3-5-2 che si trasforma in 3-4-3 contro il rombo in un motore a velocità massima autolimitata per evitare di finire fuori giri. L’apripista, da sorpresa d’annata, di un nuovo ciclo nerazzurro, impresa già riuscita al Crotone e al Genoa, contro chi a esclusione di quella presente s’è fatto una stagione intera dall’alfa all’omega due sole volte, col Siena nel 2008/2009 e all’Empoli nell’ottimo decimo posto del 2015/2016. Atalanta-Sampdoria è anche il confronto tra i due uomini in sella dai destini in qualche modo paralleli: l’innovatore Gian Piero Gasperini, la grande occasione all’Inter mal sfruttata alle spalle, e il frizzante Marco Giampaolo, sponsorizzato invano da Arrigo Sacchi e Silvio Berlusconi per la panchina del Milan. Due reietti della grande metropoli.

Entrambi tecnici della nuovelle vague, nel senso che non sarebbero spacciati per tradizionalisti da anima viva. In comune, gli interni chiamati, pardon spinti a inserirsi in avanti a urlacci, e almeno un mastino a turno a vangare la corsia come un forsennato a sostegno della manovra, perché uno che crossa nella trazione anteriore collettiva serve come il vino al pranzo nuziale. Eppure tra i due ci sono nove rivoluzioni terrestri, 1958 contro 1967. E anche la difficoltà dello sfidante di stanza a Bogliasco, nato a Bellinzona ma abruzzese di Giulianova, nel trovare una piazza che equivalga anche a un progetto tecnico. Donde i risultati, su un piano decisamente inferiore rispetto all’ex capitano del Pescara dalla chioma canuta e dai soffiati acutissimi nelle conferenze stampa senza peli sulla lingua (specie fuori microfono). Perché se il Gasp, dopo aver vinto una Viareggio Cup con la Juventus (2003), portò i Pitagorici dalla C1 alla B raggiungendo poi l’Europa League col Grifone sul petto nella primavera del 2009 e del 2015 (niente licenza Uefa), il fratello maggiore del mancato crack bianconero del passato, Marco, ha dovuto fare il giro delle sette chiese senza ottenere altro che salvezze più che dignitose. Pronti, via. Biennio ascolano (2004-2006) da finto vice (effettivo, invece, a Pescara, Giulianova e Treviso), perché sprovvisto di patentino, di Massimo Silva, avantindré successivo a Cagliari con Franco Colomba, record eguagliato di Mario Beretta a Siena nel 2009, l’amarezza dell’esonero a Catania dopo 22 punti in 20 match e a Cesena, quindi la discesa cadetta a Brescia con contestazione allo stadio (i tifosi reclamarono a gran voce il suo predecessore Alessandro Calori) dopo la prima sconfitta (e sei punti in cinque gare) e caso da “Chi l’ha visto” risolto con fuga a casa al mare e ritorno per dimettersi formalmente, quindi il subentro con ottavo posto a Mario Montorfano in Lega Pro a Cremona prima del grande rilancio recente. In Sardegna e Toscana un altro anno non glielo lasciarono fare. Una da toccata e fuga, nel calcio frenetico e privo di pazienza degli anni duemila schiavi degli obiettivi sicuri in anticipo e dei risultati subito.

L’esatto contrario del Gasp, che pur essendo arrivato tardino al grande football, grande si fa per dire essendo partito dal terzo campionato professionistico, ha avuto rapporti traumatici solo con la Beneamata del post Mourinho poco prima gestito a metà tra Benitez e Leonardo, un addio pressoché istantaneo – un pari e quattro ko, tra cui il derby nella Supercoppa Italiana -, e col Palermo del mangia-allenatori Zamparini, affrontato da subentrato a Beppe Sannino, da esonerato e poi da riassunto ma dimissionario a brevissimo al posto di Alberto Malesani. L’avvicendamento l’aveva avuto anche all’ultimo tuffo del triennio crotonese con Andrea Agostinelli, mentre la fine del primo periodo genoano era stata segnata dalla cacciata e dal subentro di Davide Ballardini. In sintesi estrema, due motivatori dai percorsi diversi che sanno lavorare coi giovani e anche elevare la qualità del gruppo, solo che l’abruzzese, tanto ambizioso da ottenere un bonus qualificazione Uefa di 250 mila cocuzze oltre le 800 mila di contratto, non ha ancora avuto la possibilità di lasciare le valigie nell’armadio per un lasso di tempo sufficiente a costruire qualcosina. Del resto aver fatto rendere al top Tonelli, Croce, Paredes, Saponara e Maccarone, nel dopo Sarri, non è esattamente lo stesso che aver potuto allenare Criscito, Thiago Motta, Milito e Palacio quando il presidentissimo Enrico Preziosi disponeva di palanche come non mai. Chiosa coi confronti diretti: 4 bottini pieni per l’ospitante, ma tutti ottenuti sulla tolda di comando del Genoa (contro Cagliari, Siena, Catania ed Empoli), due per l’ospitato, con l’Empoli e la Samp nello scontro diretto dell’andata aperto da Kessie e rimontato dal rigore di Quagliarella e dall’ex Barreto, pari e patta Siena-Genoa il primo marzo 2009. Chi prevarrà stavolta?

Simone Fornoni