di Evro Carosi
“L’aigle italien darde son regard vers la vallee lointaine” (L’aquila italiana fa balenare lo sguardo verso la valle lontana): così scriveva un cronista francese parlando di Fausto Coppi sull’Alpe d’Huez. Del grande campione hanno detto quasi tutto e non sarò certo io a raccontarvi qualcosa di nuovo. Mi piacerebbe però essere lui almeno per qualche minuto. Quindi, sfruttando questo spazio, oggi salterò sulla sua bicicletta e pedalando su per i ventuno tornanti che portano all’Alpe, parlerò tra me e me, come se fossi Fausto in quel pomeriggio del 5 luglio 1952. “Germiniani è in difficoltà, l’ho già staccato… Ecco Robic! L’ho preso!… Giulia, mio respiro, annego nei tuoi occhi… Robic, ora allungo e ti stanco un po’… Vorrei dire al mondo che ti amo Giulia… Devi andare dove ti portano i sentimenti… Robic resiste. Allungo ancora, un altro strappetto… Si contorce… Non mi alzo sui pedali… Ho voglia di vederti Giulia, voglio vivere il sogno! Tra qualche anno il divorzio sarà consentito e tra qualche anno ancora, parleranno di coppie di fatto e tanti altri diritti che oggi non abbiamo… Vincendo il tour mi sentirei più forte di fronte a quei bigotti. Forse per loro sarebbe più facile accontentare un campione… Un altro allungo non lo reggerà… Ha mollato! Gli ho preso venticinque metri. Robic, ti avrei lasciato vincere in cambio della libertà”.
Quella tappa Coppi la vinse e vinse anche il Tour, ma sfidando la morale di quei tempi, si trovò a dover affrontare la salita più dura. Scoppiò lo scandalo. Giulia Occhini e Fausto Coppi vissero momenti difficili e poi… solo la morte li divise. Io invece sono arrivato in fondo al foglio e devo scendere da questa bicicletta che non merito neppure nella finzione. Ma scendo convinto che quel giorno l’aquila italiana fece balenare lo sguardo non solo “verso la valle lontana”, ma anche verso quei traguardi che dovremmo, oggi come allora, raggiungere prima di poter essere chiamati “uomini”.

L’autore dedica l’articolo a Doriana, sua nipote