di Simone Fornoni
Tanti scazzi e scatti di tensione seguiti da rumorosissimi silenzi per poi sganciare la verità a mezzo video, registrato il mercoledì sera dietro le quinte del Teatro Sociale a margine della presentazione del nuovo inno, scoprendo a cose fatte che il giorno dell’annuncio dello stadio finalmente di proprietà era già tutto deciso. Ed ecco, piazzato sul sito ufficiale a sforacchiare le sonnolente certezze del dormiveglia, il rinnovo, triennale con l’opzione per un’ulteriore corsettina insieme, tra l’Atalanta e Gian Piero Gasperini, il condottiero che preferisce far parlare il campo ai rendez-vous con la stampa, bersaglio delle sue intemerate quando non subissata dall’indifferenza. A un passo dalla qualificazione ai gironcini di Europa League, che un bottino pieno stasera contro il Milan renderebbe automatica, è tempo di annunci. E di pietre tombali sui presunti dissidi, forse figli della fantasia dei cronisti, con Giovanni Sartori, il responsabile dell’area tecnica, che s’è visto retrocedere a strariserva la vedette del calciomercato, quell’Alberto Paloschi figlio del blitz gallese di inizio estate, in nome della linea baby, ovvero la scommessa stravinta in barba agli assetti pensati per la guida tecnica del rinunciatario Rolando Maran. Ma sono fandonie, il Cobra di Lodi lavora per lui, come tutti, continuando a ravanare l’orbe alla ricerca di pezzi pregiati da incasellare nel 3-4-1-2 da battaglia. Fin qui, Joao Schmidt, che si svincola dal San Paolo, mancino che si candida a erede del partente Kessie, l’anti-Paloschi-Pesic Andreas Cornelius, dalla Danimarca con furore, il post Caldara, Gianluca Mancini del Perugia (che fra due stagioni sarà raggiunto dall’esterno Nicolò Fazzi), e forse forse anche l’oriundo uruguagio Cesar Falletti dalla Ternana, il cambio di Gomez.
Figurati se sul listone dei colpi prossimi venturi non c’è la manina determinante del Gasp, senza il quale all’ombra del verde piantumato del Centro Bortolotti non si muove foglia se non a proprio rischio e pericolo. Il mister ha fatto sua la partita dell’affetto reciproco con la piazza e della fiducia presidenziale, imponendosi da hombre miraglo sicuro di sé, che non deve chiedere mai, che non aveva nemmeno fretta di chiudere l’accordo per il prolungamento del contratto e ancor meno voglia di smazzarsi i prepartita con quei curiosoni di giornalisti a caccia di notizie. Ne ha saltato qualcuno, nel girone di ritorno, forte dei piani alti in classifica e certo dell’appoggio incondizionato di Antonio Percassi che l’ha sempre tenuto in manica. Come rimarcare la posizione di potere, pardon il diritto di vita e di morte sui sogni degli aficionados nerazzurri e sui suoi protagonisti, meglio che snobbando chi deve riempire paginate intere, costantemente nel mirino dell’oltranzista medio da curva? Pronti. A coprire la vigilia con la Samp ci ha pensato il vice Tullio Gritti, per apparecchiare le strategie anti Toro nella sala conferenze di Zingonia c’erano Massimo Biffi e Mauro Fumagalli (preparatore dei portieri e collaboratore tecnico). E lì c’era in ballo la squalifica, valorizzare lo staff ci sta pure. Va bene l’affiancamento del preparatore atletico ed ex di turno Domenico Borelli col Crotone alle viste. Poi si arriva al day before (14 aprile) di Roma-Atalanta e qui enneciesse, per dirla col Dogui, non ci siamo, perché non esiste al mondo fare capolino due volte in un j’accuse ad personam invitando l’elemento sgradito a telare per poi lasciare lì la truppa di scriba a rifarsi coi voli di rondine. Prodezza ripetuta, stavolta avvisando in tempo utile, il venerdì che ha preceduto la partenza per Udine. Qualunque ne siano le ragioni recondite o irriferibili, perché, parliamoci chiaro, il broncio perenne non può essere giustificato da un tira e molla sull’insubordinazione di spogliatoio tra il salutare settebello sporco preso sulla gobba nella tana dell’Inter e la ripresa del cammino col tris al Pescara, guardare l’interlocutore dall’alto in basso è l’esternazione di una sicurezza interiore a prova di bomba e del senso di intoccabilità. Confermato giovedì mattina dalla conferma delle conferme, scontata quanto sceneggiata da colpo a effetto: la Bergamo del pallone ha il suo aedo, l’epicentro di un progetto di crescita e consolidamento che parte dalla panchina e, passando dallo stadio di proprietà, non si sa a quali vette potrà attingere. Una provinciale che aspira alla rottura dello schema precostituito delle Sette Sorelle. Corroborato dal consenso unanime, al netto delle beghe con l’Eco di Bergamo e con l’Assolombarda dei giornalisti, l’uomo in sella sta volando alto sulle ali degli straordinari risultati conseguiti sul piano tecnico e dei record societari ammonticchiati l’uno sopra l’altro, sbattendosene un po’ delle public relations. Atteggiamento che la buona novella, sostitutiva dell’opzione per la sola stagione 2017/18, in canna da Pasqua e anticipata il 23 aprile a mezzo Sky, dovrà fatalmente smussare. Domandona: okappa la sicumera da vincente, ma se questo passa almeno il gironcino di EL che fa?