di Matteo Bonfanti
Davanti al dramma collettivo la sola cosa che per me è importante: lunedì sera io e i miei due figli, Zeno, nove anni, e Vinicio, undici, per la prima volta eravamo sul divano con un obiettivo chiaro e comune, vederci insieme la partita. Di solito, finale di Champions compresa, sulla tv non c’è accordo: io punto a vedermi il big match in programma, Zeno è sotto con i video di Stepnik, famoso youtuber, mentre Vinicio molla la lotta per il telecomando e si isola nelle sue vicende, disegna, suona, recita, fa l’artista in giro per casa cercando un altro Egitto. Italia-Svezia no, ci ha unito, allegri e complici, va detto per motivi diversi: io per scriverne, Zeno per parlarne a scuola col suo amico Cesare, quello con cui andrà in Curva Nord appena i due saranno adolescementi e casinisti, Vinicio per obbligo, il play-off dei Mondiali era infatti il compito a casa che gli ha assegnato sabato il suo professore di educazione fisica, un simpatico e sorridente calciofilo di cui non ricordo il nome.
E’ stato bellissimo, sei gambe sotto una coperta colorata, con le immagini che andavano e venivano per via di un collegamento internet zoppiccante che ci faceva ridere come matti perché pensavamo che la difficoltosa visione dipendesse dalle nostre scoreggie post minestra di ceci. Io e Zeno urlavamo, ci abbracciavamo, facevamo la ola mentre Vinicio rideva sotto i teneri baffetti da undicenne che gli stanno spuntando. Ed eravamo tre uomini in barca, felici tra i nostri vizietti, le mie birrette, i loro Kinder Bueno, il litrozzo di Fanta a portata di mano per la gara di rutto libero che si fa tra uomini davanti a una sfida calcistica parecchio importante. Per questo a fine partita ero incazzato nero con il confuso, infelice e incapace Ventura, perché quest’estate avrei voluto passarmela davanti al maxischermo del Lazzaretto con i miei due bambini, a spassarcela nel nostro unico e indimenticabile Mondiale insieme. Tra quattro anni Zeno e Vinicio saranno adolescenti e le partite vorranno guadarsele con i loro amici, Malik, Matias, Mattia, Cesare, Gabriele e Jacopo, senza il loro babbo tra le palle. L’anziano ct e il suo capo, il chiacchierato e sgradevole Tavecchio, gli unici colpevoli dell’eliminazione azzurra, hanno tolto ai Bonfanti e a milioni di altre famiglie questo, la Nazionale ai Mondiali, un pretesto per passare ore e ore accanto a chi si vuole bene sentendosi liberi di fare le peggio cose. L’allenatore nel pallone e il dirigente che l’ha scelto dovrebbero andarsene subito in Libia, come quell’altro che negli anni ottanta ammazzava i sogni collettivi del nostro Paese.
Senza Italia il Mondiale non c’è. Non si fanno le corse per un Marocco-Svezia, ma neppure per un Brasile-Argentina, le luci si spengono, il pallone diventa qualcosa di lontano lontano, i bar sono vuoti, le notti brevi, magliette azzurre non se ne vendono e crollano le vendite dei giornali sportivi. Colpisce che il milionario Ventura non capisca le gravissime colpe che ha e che non si sia ancora dimesso, ma resti attaccato alla poltrona e tutto per via di settecentomila euro, che per me sono un sacco di soldi, per il vecchiaccio pochissima roba. Forza Giampiero, un po’ di dignità, anche perché la sciagura è anche economica, intorno ai centomilioni di perdita secca.
E poi c’è Vinicio, il mio bambino quasi ragazzo, che fa pallanuoto e come tutti quelli che fanno sport minori e che sono sempre di più, i calciatori inizia a non sopportarli, ovviamente parlo dei divi della Serie A, ed è sul punto di metterci una pietra sopra. Ed è un peccato perché il pallone è la seconda cosa più bella che c’è.