di Matteo Bonfanti
Recentemente sono stato con mia moglie a un corso di crescita personale, tre giorni assai piacevoli a chiacchierare fitto con una ventina di persone sensibili, buone e interessate al proprio cuore, a quello che lo muove. Chi teneva le lezioni, una vecchina dall’impressionante serenità interiore che di nome fa Samadi, cercava di trasmettere a noi presenti l’idea chiave della sua lunga, piacevole e soddisfacente esistenza: non esiste la fortuna e neppure sua sorella, la malasorte, non importa manco chi incontriamo o chi ci gira intorno, ogni cosa che ci capita è perché la vogliamo noi, il bene, il male, la via di mezzo, l’amore, la separazione, la crisi di coppia, il successo, la povertà, persino lo stipendio quando è misero e finisce il 21 del mese. Premesso che un pensiero del genere è una salutare iniezione di fiducia, che uno si alza il mattino dopo straordinariamente convinto, dice a se stesso “oggi sarà meraviglioso” e si sente già meglio, resta che tra gli allievi della tenera e colta Samadi ero il meno convinto.
Tanto a causa del calcio, la poesia che mi accompagna ininterrottamente da quando avevo dieci anni e giocavo ala destra nei pulcini dell’Aurora San Francesco, la piccola squadra del quartiere di Lecco dove sono nato. L’esempio sono io come calciatore, che c’erano un sacco di domeniche che mi estraniavo, non toccavo un pallone, poi la sfera mi capitava tra i piedi appena fuori dall’area piccola, tiravo alla cazzo senza guardare, segnavo e venivo portato in trionfo, tipo eroe della municipale. Non l’avevo voluto, era stato il caso, meglio conosciuto come il destino, mi aveva messo lì: al posto giusto, nel momento giusto. Così è stato nel lavoro, ormai due decenni fa: scrivevo qualche pezzo, neppure di grande qualità, per il Giornale di Bergamo, il mio primo contratto l’ho firmato perché un collega, Rocco Sarubbi, si è alzato un giorno e ha dato le dimissioni. Il direttore dell’epoca, Sergio Carrara, non sapeva che fare. C’ero io, solo soletto in redazione, mi ha detto: “Te la senti?”. E sono partito a fare lo sport. Fossi stato alla macchinetta del caffè magari adesso farei il benzinaio o il politico del Pd.
Nei miei ragionamenti sul fato cinico e baro, c’è pure mio zio Beppe, mezzala nelle giovanili del Lecco, scartato sul più bello, nell’ora del gran salto, alla fine di una stagione in cui aveva colpito la bellezza di dodici legni, senza gonfiare mai la rete. Solo pali e traverse, poverino. Avesse fatto cinque gol sarebbe arrivato tra i professionisti. Colpa della dea bendata, che si è messa di mezzo persino con lui che è un tipo determinatissimo. E’ il vanto di famiglia, a riprova che faceva il geometra del Comune e si è tanto scervellato che si è inventato un cartello stradale ancora in voga, quello con le due frecce.
Simile la vicenda di Marino Magrin, leader dell’Atalanta 1986-1987: 14 pali del fantasista e bergamaschi in Serie B. Chi ha assistito a quell’annata, parla di una iella planetaria contro una formazione che ce la metteva tutta proprio come dice di fare Samadi ai suoi adepti.
Non solo me, la mia famiglia e i nerazzurri. Settimana scorsa Samadi parlava e io riflettevo sull’inizio del campionato di Eccellenza 2015-2016. Mi venivano in mente due giocatori assai diversi, ma dall’avvio simile, entrambi attualmente al secondo posto nella classifica marcatori, con già quattro reti all’attivo e spesso nei nostri Top 11: Nicola Vicari, in forza al Brembate Sopra, e Roberto Pellegris, da quest’anno allo Scanzorosciate.
Partiamo da Nicola. Nel 2013-2014 a Foresto: 28 presenze e 17 gol, un giovane fenomeno classe 1989. Come ovvio, finisce al centro del mercato, lo vuole tutta la Bergamasca, alla fine la spunta l’AlbinoGandino, squadrone di Promozione. Le aspettative sono altissime, lui s’infortuna subito, perde il posto di titolare, assiste alla fantastica stagione di Franchini, gioca qualche spezzone, non convince e chiude col misero bottino di 5 reti, pochissime per un bomber del suo livello. E’ improvvisamente diventato un bidone? Assolutamente no. Nonostante l’impegno che non manca, gli gira tutto storto. La riprova è adesso: assistito dalla fortuna (e dalla salute) fa la differenza persino in una categoria superiore.
Da un puntero all’altro, ecco Roberto Pellegris, forse la punta più forte dell’intero panorama dilettantistico orobico. Raffiche di gol in ogni squadra dove ha giocato fino a due anni fa quando e a Villongo e vive un biennio così così con “appena” 27 gol totali, pochissimi per un ragazzo abituato a farne almeno uno a partita. Anche qui la sfiga, la palla che prende una traiettoria strana ed esce d’un soffio. I Diavoli Rossi, delusi, lo lasciano andare. Ad agosto lo ingaggia lo Scanzo: cambia il campo, passa la rogna, Pellegris torna Pellegris e i giallorossi sognano il grande salto in Serie D.
Che dire? Dopo tanto scrivere, una chiusura degna di nota ci vuole, la tento: nella vita e nel calcio serve l’impegno, ma da solo non basta, ci vuole anche parecchia fortuna. E al prossimo corso di crescita personale porto a Samadi un paio di centravanti, il ruolo più legato alla sorte, mi piacerebbe Rolando Bianchi, gran giocatore, che l’anno scorso a Bergamo non l’ha messa manco una volta.

NELLA FOTO: Nicola Vicari con la maglia del Brembate Sopra