di Marco Bonfanti
Il calcio, anche se minore come il nostro, regala storie di molti color. Poi bisogna saperle raccogliere, cucire, tessere e ne viene fuori un vestito, neanche nuovo magari. Ma le storie sono lì, pronte per essere raccontate. Ecco che noi ci proviamo, allora, a fare da tramite, e le storie che lasciamo emergere fanno parte della partita Lecco-Pontisola.
La prima storia ha un nome ed è quello di Ferreira  Pinto, classe 79. Di lui si potrebbe decantare la bravura cristallina, che non diviene opaca, anche con l’inevitabile ed inesorabile passare degli anni. Ma a noi non è questo che ci ha stupito. E’ stato altro, e cioè la sua freschezza atletica, il suo bell’andare, il suo passo di danza intramontabile. Ferreira Pinto non è un uomo statico in campo, non sta lì nel mezzo a ricevere la palla e ad illuminare, come un grande vecchio, bravo, ma in disarmo. No, lui ancora si muove con celerità, copre le diverse zone del campo, parte da destra e lo trovi a sinistra, come uno spiritello mai domo, mai stanco. Poi ieri segna pure due gol di ottima fattura e ne esulta, come un ragazzino, e così ti regala il segno di quanto ancora ci crede, dentro la partita, con la giusta, ironica fede. Potrebbe stare in una, ma anche due categorie di sopra, eppure si accontenta di dare sole ai pomeriggi di piccola provincia, come se il mondo intero fosse lì, ed insieme la gloria di esserci ad illuminare.

E per uno che sul palcoscenico ci sta davvero, prima storia, ne segue la seconda di un altro, che invece per ora, ancora non ci sta. Ma per parlare di lui dobbiamo fare un passo indietro e tornare all’anno scorso. Perché il giocatore di cui vogliamo parlare militava nel Lecco. Era impiegato poco e assai saltuariamente, ma quando scendeva in campo vagava in giro, senza determinazione, svogliato e senza una ragione precisa ed evidente del perché fosse lì. L’anno passato ci ha fatto tanto soffrire che, ad un certo punto volevamo scrivere un appello per lui, convinti che qualcosa di veramente pesante non funzionasse. Pur non avendo prove certe, dopo un’attenta analisi, eravamo giunti alla conclusione che questo giocatore soffrisse di una allucinata dipendenza, quella dalla camomilla, per cui l’appello era che qualcuno lo potesse aiutare ad imboccare l’uscita dal famigerato tunnel.  Solo un insistito e continuo uso di camomilla aveva infatti, a nostro parere, piegato la sua forza di volontà, costringendolo a vagare senza costrutto per il campo, con piede incerto ed intera corporatura vacillante.

Ieri questo giocatore, di cui con affetto facciamo il nome, Joelson, ha giocato con alterno passo, nel Pontisola. Dipendenza finita? Ci sembra prematuro  dirlo, però ieri l’abbiamo visto più convinto, più tonico, in poche parole più sveglio. Insomma non ci sembra tornato ancora quel che il suo nome esigerebbe, però, secondo noi, un percorso di recupero è stato intrapreso. Lui di gol non ne ha segnati e neppure sfiorati, però il suo mister ha fatto tre cambi e Joelson è rimasto in campo, segno che gode della massima fiducia societaria. E allora, da parte nostra, non possiamo che sperare in un lieto fine, come si conviene ad ogni bella storia.

E l’ultima storia per cui rubiamo solo un po’ di spazio, è stata la vittoria del Lecco, strappata all’ultimo minuto (che sempre, ottenuta in questo modo riempie il cuore di gioia). Il Lecco non ha gioco, è slegato fra i reparti, ha ancora idee confuse e fraseggi  con evidenti errori. Ma ieri ha lottato su ogni pallone, sostituendo alla mancata classe la caparbietà di crederci e la determinazione ad arrivarci, fino al giusto e glorioso epilogo finale.

Poi finita la partita, basta calcio, che mi sono andato a vedere il film sui Beatles. E lì erano altre storie. Però uscendo dalla sala, mi sono ricollegato al Lecco. E ho pensato che quei quattro magnifici di gol all’ultimo minuto ne avevano segnati. Parecchi.

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