di Matteo Bonfanti
L’altro giorno mi hanno chiesto perché scrivo. E non è una domanda facile e allora ho farfugliato qualcosa, tipo “per via delle parole, mi piacciono in ordine, come stanno sul foglio del computer, diverse dai pensieri che mi ronzano in testa e che spesso sono disordinati”. Non ho mentito, è davvero così, ma poi ci ho pensato e mi sono accorto che non è solo questo. L’ho capito mercoledì sera, tornavo da Zingonia dopo una chiacchierata di due ore con Filippo Cutrona, un grande imprenditore, che i miei lettori conoscono soprattutto perché è il presidente del Verdello delle meraviglie, la squadra di Luzzana che la prossima stagione partirà per ammazzare il campionato di Eccellenza. Cutrona è un uomo di un’intelligenza straordinaria, qualcosa di innato e che da povero l’ha fatto diventare ricco, ma è soprattutto un mite. Ascoltare la sua vita è stato come sedersi a riscaldarsi di fronte a un camino. Avessi avuto il coraggio che mi manca, gli avrei chiesto di ospitarmi un paio di giorni a casa sua, giusto il tempo di guarire dalle ferite dell’anima mia, che non sono profonde, ma ci sono e certe volte sanguinano e fanno un male boia. Alle sette e mezza ho tolto il disturbo, ho salutato Cutrona, ho preso la porta e me ne sono andato. Sono corso in redazione e mi sono messo a battere sulla tastiera quanto avevo sentito nel pomeriggio. E ho compreso perché scrivo, la ragione profonda, quella vera: lo faccio per stare ancora insieme alle persone che ho appena intervistato e che ho scoperto stupende, per passarci quell’attimo in più, che vorrei, ma che non riesco a chiedere perché sotto sotto sono un duro.