Apocalisse, tragedia, disfatta, di tutto e di più. Italia fuori dal mondiale dopo 59 anni e un’intera nazione piange. Eppure si tratta solo di un gioco ma nel nostro paese il calcio non è solo lo sport largamente più popolare ma uno stile di vita. Senza dimenticare che questa eliminazione è l’emblema di una Nazione in declino. In crisi e senza futuro, ferma, obbligata a innovare ma immarcescibile sul cambiamento, e che guarda al passato. Il 15 gennaio 1958 a Belfast l’Italia venne eliminata dall’Irlanda del Nord e non partecipò ai mondiali in Svezia. Avevo 10 anni , non me ne resi conto, lo capii durante l’estate quando nell’unico bar di Valtrighe, dove abitavo, c’era il primo televisore e venivano trasmesse le partite del mondiale. Nella saletta un tifo infernale per le partite dell’Urss, perché la maggior parte dei presenti, operai metalmeccanici di fede comunista, si esaltava per la nazionale di Lev Yashin e Igor Netto mentre noi ragazzini, incitati dal parroco e da mio padre, tifavano Svezia, sì proprio la Svezia, per via della presenza di Bengt Gustavsson, difensore dell’Atalanta, e degli “italiani”, Liedholm, Gren, Hamrim e Skoglund. Poi vinse il Brasile di Pelè. Fra pochi mesi, estate 2018, i ragazzini della scuola calcio del San Tomaso, tanto per citare un esempio, chi tiferanno? I fans dell’Atalanta il Papu Gomez e Freuler, quelli della Juve Dybala e Higuain, quelli del Napoli Mertens e gli altri, tutti nati in Italia, ma di genitori sudamericani, Leo Messi o Juan Cuadrado. E le maglie azzurre? Sbiadite, magari senza sponsor, nascoste da qualche parte. Ma perché tutto questo? L’Italia calcistica soffre di una grave malattia: elefantiasi, un gigante stolto e senza idee con i piedi d’argilla. Intanto la mancata partecipazione degli azzurri ai mondiali provocherà un bagno di sangue economico: come minimo se ne andranno 10 milioni di euro, oltre ai diritti televisivi (oggi la Rai versa 26,5 milioni per le partite degli azzurri) che non sono ancora stati assegnati, e secondo i primi calcoli sarebbe la Fifa, guidata dall’italosvizzero Infantino, a rimetterci: circa 100 milioni di euro. Poi gli sponsor e l’indotto. Il ministro Lotti (ma cosa c’entra ?) e il presidente del Coni hanno già invitato Carlo Tavecchio a dimettersi. Di sicuro non lo farà e pretenderà di essere il protagonista del rinnovamento del calcio italiano. Eppure anch’egli è il manifesto del fallimento. Bravo a parole e annunci (di sicuro furbo e svelto in campo internazionale) ma incapace nei fatti perché ostaggio di molti: dei vari presidenti (Lotito ma non solo) di A che sono i principali protagonisti dell’impoverimento tecnico e economico del nostro calcio, basta vedere cosa succede in Lega, dei dirigenti federali come Sibilia, presidente dei Dilettanti, e come Ulivieri, presidente degli allenatori, e forse anche della classe arbitrale che non ha digerito l’introduzione del Var . Tutti fanno parte di una casta immobile e conservatrice. Si continua a sostenere che 98 società (il Modena è fuori) professionistiche sono troppe ma quando Tavecchio, e qui bisogna dargli merito, ha proposto la riforma dei campionati si è trovato di fronte un autentico blocco da parte di tutte e tre le leghe. Eppure in serie C molti club sono alla canna del gas. E se secondo alcune indagini sociologiche , ma basta guardarsi in giro, il gioco del calcio tra i ragazzini, soprattutto nelle città, non ha più l’appeal di qualche decennio fa, i giovani giocatori italiani faticano a crescere e giustamente si dà la colpa all’invasione di tanti troppo giocatori stranieri mediocri e tecnicamente scarsi. E’ vero, basta leggere le formazioni delle squadre di serie A. Ma questo vale anche tra i dilettanti dove i presidenti spendono e spandono (Bergamo docet) per allestire squadre con giocatori profumatamente pagati dimenticando i settori giovanili. Di conseguenza la maturazione dei nostri talenti è lenta e sono pochi gli under 21 che esordiscono in prima squadra rispetto a campionati esteri, Inghilterra, Germania, Spagna e Francia in primis. Abbiamo allenatori italiani che in tutto il mondo sono considerati tra i migliori: Capello, Ancelotti, Mancini, Conte, Ranieri hanno vinto da tutte le parti d’Europa e in Cina per lanciare il gioco del calcio hanno chiamato Lippi. E chi è il ct della Nazionale, ancora per qualche giorno: Giampiero Ventura, 69 anni, indiscutibilmente bravo alla guida di Pisa, Bari e Torino ma inadatto a guidare l’Italia. Inesperto in campo internazionale, non è stato in grado di dare un gioco decente alla squadra ed ha impoverito tatticamente una nazionale che, comunque sia, rappresenta (o rappresentava?) una delle potenze del calcio mondiale. E solo nell’estate del 20016, un anno e mezzo fa non un secolo, abbiamo battuto il Belgio, la stessa Svezia, la Spagna e fatto soffrire la Germania. Più o meno con gli stessi giocatori di oggi. Di chi è la colpa?
Giacomo Mayer