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Lunedì 21 dicembre alle 18.30, qui in redazione, a Bergamo, Piazzale San Paolo 27, la presentazione alla stampa, agli amici e ai parenti de “L’ultima notte in redazione”, primo romanzo di Matteo Bonfanti, direttore di Bergamo & Sport. Ci sarà da bere e da mangiare, a gratis. Il libro costa quindici euro. Chi vuole, può prenotarlo, mandando una mail a mabonfa77@gmail.com oppure chiamando il 340-8605833. Pubblichiamo qui un estratto del romanzo, per farvi ingolosire! Buona lettura

ESTRATTO DEL QUARTO CAPITOLO DE “L’ULTIMA NOTTE IN REDAZIONE” di Matteo Bonfanti, Edda Edizioni

Mamma mia sostiene che a un certo punto mi vedeva talmente stanco, emaciato e con delle occhiaie così profonde da prendere la terribile decisione di portarmi dal medico. Da qui, come spesso accade a casa mia, i miei ricordi sbiadiscono e le vicende in questione diventano incredibili. Fatto sta che mia madre narra che il dottore mi fece una visita assai approfondita per poi rivelarci che il problema era che me lo menavo troppo. Si sbagliava. Stando infatti a quanto si raccontava in cortile ero in media perfetta: cinque pippe al giorno e una decina il sabato sera quando i genitori del Negro andavano a ballare e lui aveva l’appartamento libero e un’intera valigia di videocassette hard da vedere e da commentare. Perché noi a inizio anni Novanta si stava prendendo quella strada lì, da finti intellettuali: i pornazzi, sempre e solo quelli (mai una volta La corazzata Potëmkin), ma come al cineforum, con l’immancabile dibattito finale sulle tette o sulle chiappe o sulle labbra rifatte delle varie pornostar visionate e immaginate accanto a noi.
E ci si toccava in gruppo, ma ognuno per conto suo, col proprio affare, perché si diceva in giro che qualche mese prima c’erano stati dei ragazzi, che tra l’altro conoscevamo pure bene perché giocavano anche loro a pallone, che avevano iniziato a farsi le seghe vicendevolmente, insomma l’uno all’altro, finendo quindi per organizzare un gigantesco trenino umano negli spogliatoi, sotto la doccia, nudi come vermi e zeppi di schiuma. Era stato uno scandalo di proporzioni colossali perché noi non abitavamo nel quartiere gay di New York, ma nel cattolicissimo Nord Est italiano, dove ci dovevamo confessare almeno una volta la settimana e il prete, tale Padre Franco, chiudeva immancabilmente con la domanda che ci faceva sentire degli incredibili sfigati: “Hai fatto atti impuri? Da solo o con una ragazza?”. Io mentivo. Non mi andava di fargli sapere che facevo parte di un’avanguardia di manoturbatori feroci che non avevano mai visto, giuro nemmeno per caso, la famosa pettinatella che hanno le femmine a metà del loro corpo. Che poi, da grande, ho scoperto che le nostre coetanee facevano più o meno le stesse cose, magari in forma un attimino minore, ma neppure così tanto. Si sgrillettavano assai, per ore, facendo finta di studiare. Ipocrite. Pensare che all’epoca se ti scappava di dire a una compagna di classe che ti eri accorto che avevi un pisello che ragionava autonomamente istigandoti a fantasie sempre nuove, ti dava del maniaco, prendendoti per il culo per mesi ed esponendoti al pubblico ludibrio alla voce “miserabile segaiolo”.
E poi all’oratorio c’era anche in giro la voce che se ti masturbavi pensando a una tua amica tu saresti diventato cieco, lentamente, ma inesorabilmente, e lei avrebbe avuto male alla topa fino alla sua morte. Quindi si evitava, sognando di farselo succhiare dalle pornostar che stavano dentro ai nostri vhs. Così quando Moana è passata a miglior vita, un paio di domande me le sono poste, sentendomi un po’ in colpa. Che avessero ragione? Che l’avessi accoppata io?
Ma non erano solo preti, catechisti e allenatori a terrorizzarci a morte. Io, ad esempio, avevo anche mia nonna Lina, il sabato alle due dopo il suo infausto pranzo: quindici polpette e cinquanta patate arrosto, il tutto bagnato con un chilo di maionese e una bottiglia di Fanta in due. Era rimbambita e io dovevo stare lì a farle compagnia fino alle cinque e non sapevo cosa fare. Allora la digestione la passavo chiuso a chiave in bagno, appoggiati al comodino aveva segari d’ogni tipo: Gente, Oggi, Novella Duemila e Postalmarket. Mi mettevo d’impegno, una pippa ogni mezzora. Lei, che sapeva benissimo in quale tipo di lavoro mi stessi cimentando nella sua toilette, sosteneva che un giorno si sarebbero aperte le piastrelle e sarei finito direttamente all’inferno. Io, pieno come un uovo, mi toccavo. Post coito e mezzo addormentato guardavo a terra, tranquillo, attendendo l’imponderabile. A volte sperandoci pure. Non è mai successo niente, ma ancora, le volte che sono tra me e me, guardo il pavimento e chissà che non riesca a far due parole col Demonio. Credo sappia un sacco di cose. Dev’essere assai simpatico.

NELLA FOTO: l’autore, Matteo Bonfanti, quello rosso di capelli, qualche giorno fa circondato dall’affetto redazionale