Dicono che un album, per lasciare il segno, non debba essere particolarmente lungo. Quaranta, quarantacinque minuti al massimo, e via: anche perché, in certi (rari) casi, una durata del genere è l’ideale per assorbire poesia. E’ quanto accade nell’ultimo album di Niccolò Fabi, cantautore romano (e, nota calcistica vista la nostra testata, romanista così come i sodali Daniele Silvestri e Max Gazzè, con cui ha collaborato a più riprese) atteso venerdì al Creberg di Bergamo per presentare il suo “Una somma di piccole cose”. Saranno anche “piccole” queste “cose”, ma sono incredibilmente potenti, se così si possono definire canzoni realizzate quasi esclusivamente con voce, chitarra e poco altro: nove pezzi nove di grande bellezza, a formare un piccolo gioiello di rara bellezza che qualche springsteeniano ha definito il suo “Nebraska” e che è valso al buon Niccolò il Premio Tenco, riconoscimento già conferitogli tre anni prima per “Ecco”. Una grande prova di maturità per lui, che ne ha fatta di strada da quando – esattamente vent’anni fa, nel 1997 – si presentò per la prima volta al grande pubblico con quella “Capelli” primo segno distintivo della sua originalità. Poi la maturità, la sofferenza, con una crescita artistica costante ed un numero sempre più crescente di fan, grazie anche alla collaborazione con i già citati amici Silvestri e Gazzè. Nel mezzo, altri sette album più che convincenti e tante altre collaborazioni (da Mina a Fiorella Mannoia, da Alberto Fortis a Ron) che lo confermano come una artista poliedrico, che al tempo stesso sa essere di nicchia e popolare. E questo è dono solo dei grandi. Ascoltarlo dal vivo è un’emozione, e la tappa bergamasca del suo tour si preannuncia imperdibile: esserci, per chi ama intimismo e lirismo, è praticamente un dovere, anzi una delle “piccole cose” da fare assolutamente nella vita.
Fabio Spaterna