Applausi dagli spalti in ogni ordine di posti, roba che anche gli altoborghesi delle poltroncine scattano in piedi a ogni sua giocata. Code chilometriche per aspettarlo fuori dall’antistadio o da qualunque altra parte per un selfie, l’autografo, una stretta di mano, due parole su quest’Atalanta di cui lui, il piccoletto di Buenos Aires abile e arruolato da tre stagioni, è capitano e lider maximo. Un entusiasmo in nome del nerazzurro che tira assai e del Papu re. Il sovrano assiso sul trono della Bergamo che stravede per la palla rotonda: «L’affetto della gente è qualcosa che gratifica, che dà una spinta in più verso l’obiettivo. Non ci nascondiamo, la classifica parla chiaro: stiamo lì sopra, la città merita di rivedere l’Europa». Impossibile non amare Alejandro Gomez, il fantasista con lo scettro in mano e la sfera magica tra i piedini da adolescente dell’equipo miraglo di Gasperini, l’epicentro dei sogni di una terra alle prese con la recessione economica che vorrebbe rifarsi delle amarezze grazie al gioco del fubal.
Un uomo immagine, che la società usa da par suo come interfaccia verso stampa e tifosi, senza che lui cambi atteggiamento a seconda delle circostanze. Sorrisi spianati, lingua a briglie sciolte, affetto ricambiato a pacchi per chi l’ha eletto a idolo. E lui ci si sente, eccome: «Qui mi trovo da Dio, dialogo coi tifosi, sono molto ‘social’ perché è un modo come un altro di stare fra la gente. I fotomontaggi con Petagna non li devo fare nemmeno io, me li mandano e li pubblico. Fosse per me non andrei mai via, ma del resto l’offerta irrinunciabile a cui ha sempre fatto riferimento la società non è mai arrivata». Le sirene del calciomercato non hanno avuto il potere di scalfire le certezze e svellere le radici ben piantate da noi del padre di Bautista e Costantina, marito dell’estroso architetto Linda, progettista del centro fitness alla Malpensata inaugurato lo scorso autunno e designer delle sue variopinte fasce al braccio domenicali. Scegliere di vivere tra il Triangolo e piazza Pontida aprendo un’attività, se non equivale a un’opzione a vita, poco ci manca, per uno che curriculum alla mano potrebbe aspirare a lidi più avvantaggiati: in bacheca, Copa Sudamericana (2007) e Copa Suruga Bank (2008) con l’Arsenal Sarandì più l’argento al Sudamericano Under 20 in Paraguay e l’oro al Mondiale di categoria in Canada, sempre nell’anno di grazia 2007, in mezzo a compagni del calibro di Angel di Maria, Maxi Moralez ed El Kun Aguero. Più mordi e fuggi in Libertadores anche nel San Lorenzo. Mica pizza e fichi.
Ma la speranza del furetto che fa impazzire le folle all’ombra della Maresana o fuori dallo Store in centro è ghermire la grande chance sulle ribalte continentali alla guida dell’outsider che gode a calarsi nella parte della fuoriserie. E intanto, preparandosi al futuro, la strana coppia là davanti furoreggia, 6 gol l’uno e 5 l’altro, il grossone, quello con un settebello di rivoluzioni terrestri in meno sul groppone: «Andrea Petagna è un grande giocatore, un bravissimo ragazzo e una persona a posto. Con lui ho lo stesso rapporto che si ha con un fratellino». Per non dire di assist, sponde, giochi a due che rasentano la reciproca donazione di organi per far funzionare a dovere l’anatomia atalantina. Il ragazzo di pelo chiaro col 10 dei grandi dipinto sul dorso, l’italiano per matrimonio che non può vestire l’azzurro perché la Fifa non concede deroghe a chi al momento della convocazione con la nazionale d’origine non possedeva il passaporto doppio, spende l’elogio di prammatica anche per Anthony Mounier, il nuovo che conta e che avanza del mercato di riparazione insieme a Bryan Cristante, Pierluigi Gollini e Hans Hateboer: «Il francese mi è sempre piaciuto, è il mancino abile nel dribbling e nello stretto che ci mancava, uno che sa fare passaggi al bacio e tagli. In generale c’è da augurarsi che si inseriscano tutti in fretta e che quelli rimasti proseguano sui loro standard abituali di rendimento: al sogno europeo noi vogliamo crederci». Il Papu, a 29 anni da compiere (il 15 febbraio), è uno dei veterani in una squadra che ogni due per tre fa esordire ’99 a raffica: «Chi sta fra i venticinque e i trenta come Toloi, Zukanovic, Masiello e il sottoscritto si sente un vecchietto, ma che la rosa sia così giovane è un bene per tutto il calcio italiano». Firmato Gomez Alejandro Dario, la chioccia della Dea dalle uova d’oro.
Simone Fornoni