di Evro Carosi
Le suole sono ormai chiuse. Da alcuni giorni i professori hanno lasciato  il Vietnam per andare a svagarsi in Tailandia. I genitori, invece, sono ancora  in trincea,  a rovinarsi  l’estate nell’attesa degli  esami di riparazione, oppure, nascosti nei tunnel, a controllare che i figli svolgano quelli che, se esistessero, per un impiegato sarebbero ‘lavori per le ferie’. Comunque tutti appaiono più rilassati. Il mostro è in vacanza – e che vacanza! Non c’è confronto con lo stress che la scuola procura. Un bombardamento di voti regola  il nostro sonno e, come  Napalm, distrugge ogni nostro pensiero. Ma cosa sono i voti?  Sono giudizi espressi in numeri su quel che sa nostro figlio, appioppati da una giuria di parte. Sì, perché a determinare questi numeri non è un libero sorteggio, ma persone appartenenti a una stessa categoria: quella delle  persone istruite. Sarebbe come se la partita  Italia-Germania fosse arbitrata da un tedesco, magari nazionalista. Nell’affidare dei minori alla scuola speravamo in un trattamento diverso. Se il ragioniere ragiona, l’infermiera cura gli infermi e  la segretaria mantiene il segreto, l’insegnante dovrebbe insegnare, ma preso com’è a sganciare voti dalla botola, non avanza il tempo per farlo. Così impone il programma ministeriale. A’ la guerre comme a’ la guerre! La scuola  è una macchina automatica infernale, che monta o smonta i nostri figli, secondo che gli stessi  soddisfino o meno certi requisiti, procurando danni a volte irreversibili per i montati e  per gli smontati.
Generalmente fino alla terza media, la scuola lascia che più o meno tutti raglino in libertà. Dal primo giorno delle superiori, invece, inizia  la madre di tutte le vendette. Casa per casa, senza eccezioni, si stanano e si mandano al patibolo i  pigri, gli  insolenti e anche, perché no,  gli innamorati. Nella sola provincia di Bergamo oltre il trenta percento dei ragazzi rinuncia allo studio, e meno del trenta percento degli insegnanti si chiede il perché. Un’autentica emergenza nazionale.
Noi genitori subiamo rassegnati questa tortura di medioevale ferocia, reagendo nelle forme più svariate, ma sempre ponendo la scuola al centro dell’attenzione, soddisfacendo in tal modo la sete di sangue del boia. C’è la mamma tanto disperata da aver spinto  il marito al divorzio, perché nello zuccone del figlio una lingua estinta come il latino non trova posto. “ll latino non si usa più, ma aiuta il ragionare”, si sente dire la poverella ed allora insiste con il figliolo fino a divorziare anche da lui. C’è poi la mamma fortunata, quella che “il mio  studia anche il sabato sera. Oh yehee!”. Quella che per dar sfogo  alla gioia, non trova nulla di meglio che  pugnalare alla schiena le mamme meno fortunate di lei”. Mio figlio qua… e poi là… il Profe ha detto cip e lui ha risposto ciop… alla fine gli ha dato solo un otto mentre avrebbe meritato almeno un nooooove!!!”. A queste mamme il  barista dovrebbe chiedere cento euro a caffè perché con i loro discorsi fanno scappare le altre clienti. Infine, pochissimi, pensano alla salute dello studente.
Allora, come dovremmo comportarci? Se per mettere insieme queste quattro stupidaggini mi sono finto sociologo, al quesito vorrei rispondere come farebbe un vecchio parroco: pensate a quanto piccolo  è un voto di fronte all’eternità. Vivreste meglio e un caffè vi costerebbe il giusto. Buone vacanze a tutti!