di Marco Bonfanti
Riconferire (manco fosse il premio Nobel o il Pallone d’Oro) a Riccardo Capogna il nostro figurone, è, prima d’ogni cosa, dovuto ai suoi meriti calcistici e nient’altro. Infatti il centravanti lecchese ha segnato ben cinque gol nelle ultime tre partite della squadra lariana, una media cioè che lo lancia nella top-ten del suo campionato e ne fa uno degli attaccanti più prolifici dell’intero torneo. Se oggi il Lecco è terzo, gran merito va attribuito a questo giocatore, ultimamente serio in campo, volitivo e preciso sotto rete. Ma c’è un altro motivo che ce lo fa preferire ed è un motivo che sta dentro la storia dei quattro amici (Beppe, Carlo, Sergio ed io), che seguono con indomita passione la loro squadra del cuore, attualmente pure foriera  di soddisfacenti risultati.  Ed era domenica scorsa ed i quattro amici stavano in una trattoria di Castiglione delle Stiviere e avevano pure mangiato bene ed abbondante, questo per dire che in nessuno di loro vi fosse astio o malanimo, ma solo, diciamo così, beata letizia. Si era alla fine, tra i caffè e le grappe, e siamo venuti su a parlare di Capogna. “Si discuteva dei problemi dello Stato e si andò a finire sull’hashish legalizzato…” recitava una storia disonesta di qualche anno fa, noi, invece, assai più onestamente, e non ricordo neanche come, dai problemi dello Stato siamo finiti a parlare del centravanti bluceleste.  E subito si sono create due fazioni, anche strategicamente messe una di fronte all’altra sul tavolo, di qui Beppe ed io, ferocemente anti Capogna, di là Carlo e Sergio strenui difensori  dello stesso. Beppe ed io sostenevamo che il Capogna fosse nient’altro che una bestia, epiteto neanche troppo offensivo, se delimitato dal rettangolo di gioco del pallone. Dicevamo che: uno, che Capogna non prendeva neanche una palla di testa, e non per inferiorità di statura rispetto agli avversari, ma per errata scelta, ogni volta, dei tempi di elevazione. E poi, due, che ogni volta che riceveva la palla, anziché difenderla e accudirla, se la faceva portar via con irrisoria facilità. E tre, e buon ultimo, che avesse pure un atteggiamento irritante, da genio incompreso, mai servito come si deve e come si dovrebbe, e che perciò guardava inutilmente storto i suoi compagni.
Carlo  e Sergio erano invece di avviso opposto: Capogna era un elemento indispensabile per il gioco del Lecco, quando riceveva palla la difendeva con caparbietà, dando alla squadra il tempo per rifiatare e risalire.
Discussioni di calcio, insomma, di quelle che siamo tutti tecnici che ne sanno più degli allenatori, ma che poi sfumano sempre in un nulla di fatto, si sfilacciano via, si paga il conto e si va allo stadio.  Le coppie contrastanti allo stadio non si mettono vicine: Carlo e Sergio stanno in alto, forse così marcando la loro superiorità di giudizio e vedute, Beppe ed io giù, tra il pubblico avversario, se pur mai avverso.
E passano tre minuti e  Capogna segna. E segna di testa, tanto per dire.  Beh lì ancora eravamo solo all’inizio, Beppe ed io stavamo a dire che una rondine non fa primavera, che un lampo nella notte non fa mattino, amenità così di poco conto.
Intanto la partita si sviluppa e Capogna è sicuramente il migliore in campo. Pressa alto, non perde un pallone, sta umilmente su ogni palla, fa, questa volta veramente, rifiatare e ripartire la squadra. A suggello di una prestazione superba, segna anche un secondo gol di ottima fattura: stop di destro, aggiramento dell’avversario, colpo secco di sinistro.
Beppe ed io non sappiamo più né cosa pensare né cosa dire. Alla fine della partita saremo sicuramente tacciati di incompetenza calcistica assoluta. Elaboriamo una assai debole linea di difesa: siamo stati noi con le nostre oculate critiche a risvegliare Capogna dal torpore in cui era evidentemente caduto. Difesa non debole soltanto, ma pure astrusa: infatti non si sa come le nostre critiche siano potute arrivare al giocatore, dacché noi conosciamo assai bene Capogna, ma lui ignora del tutto la nostra esistenza, magari ci avrà pur visti, ma certamente confusi nella gente che fa il tifo per la su squadra.
E così usciamo e alla macchina c’è subito Carlo che ci ammonisce sulla nostra ignoranza, dicendoci che di calcio ne capiamo un emerito niente, ma il niente è una parola più pesante e precisa.
Poi scorre la storia. Capogna mercoledì, nel recupero con il Seregno, segna un altro gol di testa, con una torsione degna del manuale del perfetto calciatore.
Domenica ne ha fatti due, che in totale fanno quindi cinque gol in tre partite, di cui tre decisivi al fine del risultato positivo.
Di qui ho pensato che riassegnargli il figurone era veramente il minimo. Il qualcosa in più sta nella piena ammissione della nostra ignoranza, il riconoscimento dei giudizi affrettati e non ponderati. Riccardo, confidenza d’obbligo, dopo la confessione, vai avanti così.
I geni incompresi prima o poi si capiscono. Anche da quelli che geni, per natura, non sono.