Che a Bergamo Andrea Petagna sia un idolo non ci piove. È lo sfondatore designato dell’outsider della A, una squadra di corsaioli, di interni divisi tra raziocinio (Freuler), verve istintiva (Kessie) e utilità (Kurtic), di frecce al servizio del fantasista Gomez. E come a tutte le sorprese che si rispettino, perché uno che al massimo ne aveva messi sette in maglia Ascoli non può essere definito altrimenti, gli fanno le pulci. È un ’95 con una gavetta stile pane raffermo alle spalle, strappato all’alma mater milanista per una brioche, ha l’aria e le doti di chi sta per spaccare il mondo, ma a chi la sa più lunga non basta. Non vede la porta, dicono. Non tira, sostengono altri, perché gioca lontano dal dunque, esaurendo le pile a forza di svariare e cercare duetti, spesso dal lato o spalle all’area. Non produce i bottini richiesti a un bomber di rango. Mentre impazza il totoscommesse sul raggiungimento della sporca decina a referto, lui ha già firmato la cinquina. Candidandosi al paragone-amarcord, da Bobo Vieri-bis atalantino prima maniera. Che alla sua età non raccattava manco lui chissà quali bottini né aveva convinto appieno circa le sue doti. Tanto da esplodere più tardi, fra Torino e Madrid, sponda Atletico.

Numeri alla mano, il parallelo ci sta, nonostante le esperienze precedenti all’approdo in nerazzurro parlino a favore del toscanaccio che sta svernando al caldo tropicale di Miami. Ventisette gol in un quinquennio fra Torino, Pisa, Ravenna e Venezia, contro l’unico del triestino a Vicenza, dopo la quota zero con Milan, Samp e Latina, ad anticipare il settebello ascolano. La somiglianza è netta dal punto di vista morfologico e tecnico, nonostante ai tempi il famoso papà dell’illustre collega, classe pura zavorrata da indolenza – si sfilava dagli allenamenti del Petisso Bruno Pesaola per far pipì dietro le siepi -, considerasse il figliolo una gran pippa che ogni tanto la buttava dentro per caso. Andrea, che rispetto al Bobo ventiduenne è comunque meno grezzo e tatticamente più sgamato, condivide piede preferito, movimenti non da centrattacco egoista e stazza con il primogenito di Bob, l’ex pratesedorianojuventinbolognese emigrato al Marconi Sydney. Anche uno dei più grandi attaccanti italiani dal secondo dopoguerra in avanti (271 totali in 558 gare), agli albori del carrierone, faticava a imporsi e a fare quello per cui era pagato. Non guidò la classifica interna dei frombolieri nemmeno dopo il passaggio alla Juve per otto miliardi. Capirai, c’era Del Piero, molto più cecchino di un Papu.

A Bergamo, nella stagione 1995-1996, sotto l’ala protettrice di Emiliano Mondonico che l’aveva promosso appena diciottenne dalle giovanili granata, il pratese cresciuto nel Santa Lucia allenato da Luciano Diamanti (papà di Alino) faticò a trovare posto nell’attacco dell’allora neopromossa Dea, stretto com’era fra il titolare effettivo, il Cobra Sandro Tovalieri, e l’artista Mimmo Morfeo che a quel giro dipinse dodici capolavori. In organico, anche un uccellino imprendibile cui un destino crudele avrebbe di lì a poco tarpato le ali, il garfagnino Chicco Pisani. Bobone arrivò a nove coi due di coppa, niente doppia cifra, in ventuno presenze totali. Petagnone è già a diciannove partite in campionato e, causa flop per inadeguatezza agli schemi di Paloschi, non ha una vera concorrenza. Pesic ha avuto campo libero da titolare in Coppa Italia, rompendo il ghiaccio col Pescara, mentre in regular season ha dovuto accontentarsi degli spiccioli ed è ancor meno centrattacco di lui. Kessie e Gomez fin qui hanno segnato di più, ma grazie rispettivamente a due tiri dal dischetto e uno. L’incostanza, ecco, è un’altra caratteristica che accomuna il mancinone del passato nella sua annata bergamasca a quello del presente e del futuro. A volte passa una vita perché il barbuto giuliano riesca a bucare di nuovo quel rettangolone lungo 7 metri e 32. Okappa con la Lazio per il 3-4 all’andata a tempo scaduto, a Pescara con il Crotone e nel matchball col Napoli, ma da quel 2 ottobre alla ripresa della confidenza col fondo della rete il 15 gennaio, curiosamente ancora contro l’Aquila (secondo di destro su cinque, media che Bobo non aveva), fanno tre mesi e mezzo al lordo della pausa festiva. Il pari contro la banda Mihajlovic ne conferma la fama di marcatore seriale: se è in palla, la mira ci mette un po’ ad appannarsi. Problemone: di testa non la imbrocca, non ha la frustata secca né la torsione di Vieri. Se il confronto potrà reggere, lo si potrà dire a giugno o dopo un’altra annata. Perché per l’ex fidanzato storico da rotocalco di Elisabetta Canalis l’Atalanta fu la rampa di lancio vera, nonché la prima di una lunga teoria di plusvalenze fino a Formello e Appiano Gentile, di una parabola forse inimitabile. Anche se Andrea, che aveva Ibrahimovic e Balotelli come idoli, ci crede sicuramente più dei troppi detrattori.

Simone Fornoni