Un’infilata in mischia nella cruna dell’ago e i piani di Edy Reja si sfilacciano come il maglioncino della nonna sferruzzato da un tagliabosco. Nessun dramma, il campionato sta già emettendo le prime sentenze (in basso se ne staccano pericolosamente due, Verona e Carpi) e la zona rossa è comunque a distanza di sicurezza. Però la prima battuta d’arresto casalinga dell’Atalanta, ad opera del Torino mangia-palle inattive dello scafato Ventura e del pio Bovo che l’ha messa correggendo in porta l’angolo dell’ex al veleno Baselli, ha dimostrato che una squadra fin qui piuttosto equilibrata non può fare a meno dei suoi punti fermi. Le assenze pesanti hanno scompaginato ogni strategia, rendendo vani gli sforzi dei singoli e l’impeto dello sterile assalto a botti ormai consumati.
Colpa soprattutto di un centrocampo che non può reggersi soltanto sulla diga de Roon, peraltro unico nerazzurro ad aver tirato in porta nell’infausta e quasi sonnacchiosa domenica del post pausa, perché senza i polmoni e la gamba sempre sul pezzo di Grassi e Kurtic (alla seconda panchina di fila) i guai sono arrivati puntuali. Dati e numeri alla mano, i titolari sono loro, e dopo due settimane di sosta non esiste turnover che tenga a mo’ di giustificazione del duplice rimpiazzo. Con molti centimetri e fisico in meno, e di là c’era il trio Acquah-Vives-Baselli, dotato di quel che ci vuole e di ben altro passo. La compresenza in mediana di Carmona, ridotti ai due tocchi (all’indietro) e dal nerbo in calando, e di uno sfiatato Cigarini fuori posizione, mai a suo agio in un reparto a tre da quando respira aria e calcio, ha significato niente filtro e apertura di pertiche di terreno davanti alle grandi manovre granata. Si aggiunga che, nella totale latitanza di gioco palla a terra, a Moralez è toccato fare pentole e coperchi specialmente quando è riuscito ad accentrarsi, dovendosi comunque sobbarcare abbassamenti di baricentro a profusione insieme all’altro peso piuma Gomez per recuperare la sfera che altrimenti non sarebbe rotolata in avanti nemmeno per ipotesi.
Inutile prendersela con Denis, che non ne becca né azzecca mezza, nemmeno quando di fronte ha solo il portiere. Il bomber-sponda umana dei momenti di gloria ha da tempo lasciato il posto a un panzerotto dai cingoli arrugginiti, precocemente invecchiato da un Pinilla che gli ha soffiato la maglia da intoccabile e lasciato in preda ai tre cristoni dietro di un Torello tanto debole nel possesso palla quanto corroborato da più massa ovunque. Assurdo bocciare genericamente la vecchia guardia, come se si trattasse di una mera questione generazionale. Il Tanque è la prima opzione se PiniGol finisce dietro la lavagna del giudice sportivo, polpettone indigesto giunto alla seconda portata in sole tredici giornate. Masiello ha marcato visita sul mastino nemico che ha risolto la pratica, ma mica l’ha tenuto lui l’Under 21 Conti immobile sul sedile. Bellini offre garanzie col contagocce e non gli si può mettere la croce addosso se è stato preferito a Brivio (finché non s’è rotto) con Dramé ai box: in organico non c’erano comunque terzini sinistri capaci di reggere l’urto di Bruno Peres. E se il Vecio di Lucinico non considera Monachello pronto per le battaglie campali, un motivo ci sarà. E ancora: Stendardo (il sostituto di Toloi) ha fatto il suo, di Maxi e delle sue pallonesse come prediche nel deserto è quasi superfluo parlare, perché se non è stato brillante lui figurarsi i compagni. Il Professore, va ribadito, è un regista a quattro e stop. Morale della favola? Il football è quello sport dai mille isterismi dove sono tutti a disposizione del mister. Oppure, alla prova dei fatti, lo stroncano. Ha dunque toppato colui che regge il bastone del comando? Forse, ma è anche vero che i limiti della rosa sono destinati a risaltare solo quando si perde. E se il modulo è quello, nonostante la ricorrente virata al 4-2-4 allorché si mette maluccio, le alternative si contano sulle dita di una mano. Ma forse qualcuno s’era illuso che prospettive e ambizioni, col cambio della guardia nel febbraio scorso, avrebbero spiccato il volo come per magia. Si punta alla salvezza tranquilla, il resto avanza. Uguale a quando c’era Stefano Colantuono in sella, guarda un po’.
Simone Fornoni