di Nikolas Semperboni

Intento a coltivare la crescita dei suoi giovani talenti, con un occhio di riguardo che va inevitabilmente ai dettami suggeriti da una realtà parrocchiale, l’Oratorio Stezzano spicca per i numeri del suo bacino di utenza e per i ragguardevoli risultati ottenuti. Si badi bene che le vittorie raggiunte sul campo passano in secondo piano, quando un esercito di 250 ragazzi impone quella considerazione, che tanto facilmente viene sbandierata, ma che, allo stesso tempo, vale da croce e delizia per vivai ben più blasonati. Vincere a calcio non è mai facile; lo è ancor meno, quando venti atleti partono, agli occhi dello staff tecnico, alla pari, con il fine ultimo di garantire a tutti il medesimo minutaggio. La realtà dell’Oratorio Stezzano dimostra che, pur non potendo esibire risorse né tantomeno roboanti proclami, far coesistere problematiche sportive, con quelle socio-formative, è possibile, anche in tempi dove tanti genitori maturano la discutibile consapevolezza di crescere, tra le mura domestiche, un piccolo Messi, o un piccolo Cristiano Ronaldo. Tra le fila stezzanesi, vige un unico chiaro diktat: giocano tutti, almeno fino alla categoria Juniores, e le famiglie non possono che prenderne atto, consce che il medesimo spazio è già di per sé motivo di vanto e grande soddisfazione. Dell’impresa targata Or. Stezzano, ne abbiamo parlato con il responsabile del settore giovanile,  Ettore Moreschi,  il quale mette in luce la perfetta sincronia di tutte le componenti, che all’unisono si muovono perché la prima sacrosanta regola venga rispettata e messa in atto. «Ci siamo imposti di far giocare tutti  – apre Moreschi –  anteponendo le esigenze delle famiglie al mero risultato sportivo. Quando il bacino coincide con un paese in netta espansione quale Stezzano, accontentare genitori e figli diventa prioritario, e in questo senso devo dire che le lamentele rimangono piuttosto contenute. E’ inevitabile che qualche appunto, o rimprovero, non manchi, magari relativo proprio alla fascia riguardante gli Juniores, ma tutti i ragazzi possono vantare lo stesso spazio, o perlomeno la stessa considerazione, agli occhi degli allenatori e di tutto l’ambiente societario. Certe politiche si rendono possibili solo grazie alla reale disponibilità degli addetti ai lavori. Lavoriamo da tanti anni con gli stessi tecnici, i quali hanno aderito a un principio, per noi importantissimo, per il quale un allenatore non può allenare per più di due anni la stessa squadra. E’ inevitabile che i ragazzi si affezionino a un allenatore, ma in questa maniera è possibile garantire agli atleti più esperienze di sport, utili a crescere, anzitutto, sul piano umano. Con più allenatori e più metodologie di gioco, i ragazzi aprono la mente, gettando una base importante per il futuro».
In tempi dove il calcio assiste al sopravvento della competitività, anche in ambito di settore giovanile, la risposta proveniente dall’Oratorio Stezzano suona così da garanzia, per uno sport che mantiene la pretesa di definirsi popolare, e votato alle esigenze della società civile:  «Il verdetto del campo conta fino a un certo punto, e le famiglie devono tener ben presente questo punto. Badiamo alla coesione dei gruppi, e alla crescita collettiva, prima che individuale. La filosofia che abbiamo cercato di inculcare è stata fin qui rispettata, a dimostrazione che tutto l’insieme gira, quando sono tutte le componenti a muoversi in armonia. Per questo motivo, non esito a definire la nostra realtà una sorta di grande famiglia, nella quale tutti detengono un ruolo cruciale per la promozione di un calcio sano, aperto a tutti i ragazzi, e nel quale i singoli nuclei familiari possono trovare un punto di riferimento utile alla crescita umana, prima che sportiva, dei figli. Le famiglie vanno accontentate, ma perché questo sia possibile diventa imprescindibile condividere, e accettare, il nostro modo di intendere il calcio, e lo sport».