Bergamo e l’Atalanta celebrano la memoria di Piermario Morosini, lo sfortunato ragazzo di Monterosso approdato novenne nel vivaio di Zingonia e morto in campo all’Adriatico di Pescara in maglia Livorno il 14 aprile di 11 anni fa per quella che l’autopsia avrebbe rivelato essere una cardiomiopatia aritmogena. Colui che con la sua scomparsa ha indotto tutte le strutture sportive a dotarsi di defibrillatore è notoriamente il dedicatario della Curva Sud di quello che sarebbe diventato il Gewiss Stadium di Bergamo quando ancora era del Comune e si chiamava “Atleti Azzurri d’Italia”.

Un ragazzo sfortunato, orfano di madre (Camilla, 2001) e di padre (Aldo, 2003), che perse anche il fratello e aveva solo zia Miranda, la sorella Maria Carla, l’amico del cuore Vittorio Ravazzini e la fidanzata Anna Vavassori. Un ragazzo di quartiere: “Sono passati 11 anni da quel maledetto Pescara-Livorno. Rappresentavi la nostra Monterosso in giro per l’Italia con le squadre di club e per il mondo con la Nazionale. Eri e resterai il nostro orgoglio! – scrive sui canali social la Polisportiva Monterosso -. In questa tua foto rivediamo gli occhi dei nostri piccoli bambini che iniziano a giocare con il sogno di diventare un professionista come te! Il tuo ricordo è vivo! Il campo dell’oratorio a te dedicato, le tante foto in sede, e lo scorso anno nel decennale della tua scomparsa è stata creata una maglia da gioco speciale a te dedicata per la prima squadra e la squadra storica di amici del Monterosso United”.

Vinto lo scudetto Allievi Nazionali nel 2002 sotto Alessio Pala, il Moro perse il titolo Primavera nel 2005 contro la Roma per poi avviare una carriera fuori città inizialmente da compartecipato con l’Udinese. Un campionato cadetto monstre col Vicenza lo aveva fatto approdare all’Italia Under 21, 18 match e gli Europei in Svezia. In prestito, sempre dalle Zebrette, la vita da girovago tra Reggina, Padova e ancora Vicenza prima di vestire l’amaranto. Lui, che tifava Sampdoria, soleva dire della sua vicenda privata particolarmente dolorosa: “Sono cose che ti segnano e ti cambiano la vita, ma che allo stesso tempo ti mettono in corpo tanta rabbia e ti aiutano a dare sempre tutto per realizzare quello che era un sogno anche dei miei genitori”.