di Simone Fornoni
Gianpaolo Bellini e il ruolo da titolare, un rapporto burrascoso. Perché quando non si fa male lui, c’è la concorrenza di gente più fresca o meno usurata (Nica, Raimondi). Anche se con l’Hellas qualche speranziella si affaccia all’orizzonte, visto che i problemi di due stantuffoni su tre suggeriscono lo spostamento in mezzo di Benalouane. E con l’avversario di turno ci sono incroci che più portafortuna di così non si può. Due date su tutte, il viatico della carriera e quello della penultima risalita dal piano di sotto. 11 aprile 1999: il primo vagito (dal 26′ della ripresa, al posto di Zanini) da bimbo del vivaio diventato adulto, davanti ai suoi tifosi. 4 settembre 2005, ultimo precedente diretto a Bergamo: ecco l’acuto decisivo per spezzare l’impasse, sganciando quel bolide mancino che ancora oggi suscita dubbi su quale dei due piedi sia il preferito. Paolo il Bello è uno dei tre reduci di quel rendez-vous vecchio di nove anni, insieme al mister e a Giulio Migliaccio. Alla faccia dell’highlander.
La Fatal Verona? Roba da Milan e da spauracchi anti-scudetto. Esorcismi da lasciare al Diavolo, perché nell’Atalanta è abile e arruolata una bandiera che nella scala gialloblù storicamente non inciampa. Colori fortunelli, per averci esordito contro da vincente nel calcio che conta e per aver indicato la via, battendoli di nuovo, al Colantuono atto primo. 3-2 in entrambe le occasioni, guarda un po’. Fa niente se trattavasi di cadetterìa. E pazienza se nel caso number one (Doni, Damiano Zenoni e Cammarata all’intervallo; poi Sottil e Brocchi), con Lino Mutti a dirigere le operazioni, battere gli allora Prandelli-boys padroni del campionato alla ventinovesima non servì a spianarsi la strada della promozione. Nel secondo, il capolavoro: costretti a inseguire dopo il rigore di Adailton, i nerazzurri misero il naso avanti con Soncin (testa) e Bernardini (carambola sul palo); a tredici dal novantesimo, il pari di Sforzini che costrinse il nostro a sfoderare una delle armi meno affilate del repertorio, a soli centottanta secondi dal 2-2 degli ospiti guidati da Ficcadenti. Una perla rara, uno degli undici gol da professionista (5 in A, 3 in B e 3 in Coppa Italia) dedito più che altro alle diagonali in chiusura e al lavoro da muratore indefesso sulla corsia.
Sinistra o destra non fa differenza, a maturità ampiamente superata: il 27 del mese scorso le candeline sono arrivate a 34, mica uno scherzo. Ma se agli inizi Mister Quattrocento Partite, il recordman che ha toccato (da cambio di Del Grosso nel finale) la fatidica quota il 16 marzo nella roboante rivincita contro la Sampdoria, sgomitava (con i vari Cristian Zenoni e Pierre Regonesi) per una maglia in teoria preclusa dalla predilezione per il piede destro, dalla stagione cadetta 2010/2011 il redivivo Colantuono l’ha definitivamente sistemato dall’altra parte. Acciacchi permettendo, perché anche in quest’annata dove gli esterni abbondano la sorte non gli ha concesso granché: 6 presenze di cui 5 da titolare nel girone di andata ma, eccettuato il vittorioso trittico Udinese-Chievo-Lazio vissuto da cima a fondo, con Samp e Sassuolo i soliti tendini l’hanno appiedato praticamente allo start. Distacco subtotale del gemello mediale destro, quasi cinque mesi da spettatore illustre e un pomeriggio di fine inverno la luce fu: “Niente feste, non sono le mie cose. È ora di rimboccarsi le maniche e dimostrare di poter essere utile alla causa. E per il rinnovo c’è tempo: non riesco a immaginarmi lontano da Bergamo…”, le ultime dichiarazioni note d’ol Pàol de Sàrnech. “C’è solo un capitano”, gli urlano dalla curva, benché la fascia sia ormai un’estensione del bicipite d’acciaio di Denis. Mister Quattrocento sa d’essere abbonato alle retrovie, ma mai come in questo caso “spes ultima Dea”. Anche perché con lui la ninfetta ha fallito la prova solo due volte, contro il nemico della Vigilia di Pasqua: al “Bentegodi” – col Vava in panca – il 4 marzo 2001 (gol di Doni e doppietta di Salvetti) e al “Comunale” il 4 marzo (toh, le coincidenze) 2004 (Italiano e Papa Waigo; allenatore Mandorlini, in B). Per il resto, solo successi: in casa (1° novembre 2000, 3-0: Rossini, Damiano Zenoni, Ventola; 23 settembre 2001, 1-0: Doni) e sotto il balcone di Giulietta (in B; 4 ottobre 2003, 2-1:  Gautieri, Budan e Myrtaj; 14 gennaio 2006, 1-0 con lampo di Lazzari). Meglio di un cornetto a Fuorigrotta o della lampada di Aladino, insomma. Strofinandola, l’eterno ragazzo col 6 sogna l’ennesimo rientro in prima linea. O, al pari di tutta Bergamo, di poter rincorrere ancora un’Europa che pare sfuggita sul più bello.