Le celebrazioni, invero parche e sobrie, a mo’ di comunicato sul sito ufficiale, sono di rito, anche se dopo una partita dominata e buttata via in pochi istanti come quella con la Lazio le rende vagamente insipide. La la duecentesima volta con la maglia numero 10 dell’Atalanta di Alejandro Gomez è qualcosa di talmente unico e speciale che vale la pena spenderci su qualche riga in più. 

Statisticamente il Papu è andato a segno una partita su quattro, essendo a quota 50 nell’appuntamento col fondo del sacco, solitamente la cifra della carriera e della vita per chi sul passaporto professionale ha scritto attaccante. Ma il bonaerense naturalizzato italiano per matrimonio con la sua architetta Linda Raff, papà di Bautista, Costantina e Milo, a Bergamo è più di un capitano o una bandiera, o ancora un goleador di scorta, visto che il titolo di cannoniere interno con 16 palloni insaccati nel 2016-2017 pare irripetibile. 

Gomez, il fantasista-leader partito all’ala, ruolo che ricopriva fin da ventunenne immigrato nel Catania, arrivato in nerazzurro da esterno alto agli ordini di Stefano Colantuono, ha accompagnato per mano la fuoriuscita della Dea dalla dimensione abituale di ninfetta da salvezza nella scalata all’Olimpo del calcio. Finora quello nazionale, anche se a conti fatti con lui e Gian Piero Gasperini si è tornati in Europa dopo più di un quarto di secolo e l’attualità parla della primissima esperienza in Champions League. 

Col Papu, mano nella mano, da quel 21 settembre 2014, battesimo del fuoco atalantino in casa contro la Fiorentina, un ko siglato dal futuro compagno Jasmin Kurtic, sono cresciuti tutti. Paedon, siamo cresciuti tutti. Dalla città a una provincia finalmente sprovincializzata e aperta a sfide internazionali. Dalla società alla squadra, con un organico da far paura, alimentato dall’appetito di ambizioni e atmosfere mai respirate in precedenza. È cresciuto lui in primis, il Papu. Sballottato sotto Edy Reja dall’artiglieria leggera del tridente, con German Denis boa e Maxi Moralez dall’altra parte, a un ruolo ancora indefinito sulla trequarti, quasi sempre schiacciato a sinistra per fare spazio agli innesti di gennaio (2016, non una vita fa) Alino Diamanti e Marco Borriello, quando si difendeva a quattro.

Seconda punta col Gasp, tre anni fa, salvo arretrare fra le linee nell’autunno scorso, complice una rivoluzione tattica decisa in nome degli equilibri, contro il Chievo, una cinquina sporca. Avercene. Aggiungiamoci anche 51 fra assist e rigori procurati, e avremo il campione ideale, da sangue agli occhi e da sangue versato per la causa fino all’ultima goccia. Sabato 19 ottobre, con la Lazio, ce l’ha avuto freddo abbastanza per punire Strakosha solo una volta su due, ma fin lì c’è arrivato sopportando i crampi. L’unico, inimitabile Papu Gomez. 

Simone Fornoni