26 maggio 2012: sulla scena dei dilettanti, tempo di un favoloso Triplete. Merito del Caravaggio, sodalizio della Bassa che oggi vale da granitica certezza per la Serie D, ma che qualche anno addietro conobbe un delicato andirivieni con l’Eccellenza. In quella data, la squadra biancorosso completò da par suo l’incetta di trofei, andando a segno, nell’atto conclusivo della stagione, nel triangolare allora dedicato dalla Federazione alle vincitrici dei tre gironi dell’Eccellenza lombarda. Al cospetto di Nuova Pro Sesto e Sant’Angelo, la formazione di Emanuele Finazzi suggellò al meglio un’annata pressoché perfetta, ulteriormente impreziosita dalla caratura delle contendenti. Basti pensare al Villa d’Almè di Mario Astolfi, che concluse seconda, alle spalle del Caravaggio, un campionato segnato a chiare lettere da un dualismo da leggenda. A ripercorrere, per sommi capi, il Triplete biancorosso ci pensa mister Emanuele Finazzi, lo “Special One” di Chiuduno, che rivendica con orgoglio la portata di quell’Impresa.
Mister, che effetto fa ripensare a quella stagione?
“Fu una stagione spettacolare, ma non vanno dimenticate le basi che furono poste l’anno prima. Ero arrivato a Caravaggio a stagione in corso, mentre la squadra stazionava al decimo posto, e con il cambio dell’allenatore diede il la a una furiosa rimonta, culminata con il secondo posto con cui concluse la stagione regolare. Poi fummo eliminati ai playoff ma a quel punto le basi c’erano. Nel 2011-’12, furono chiare fin da subito le potenzialità di quei giocatori e di quel gruppo. E poi, si sa, per un’impresa del genere i meriti vanno equamente distribuiti, tra società, allenatore e giocatori”.
In principio ci fu la Coppa Italia, sollevata, come la tradizione impone per l’Eccellenza, nel mese di dicembre. Che ricordi hai della finale?
“Il 18 dicembre 2011 trovammo di fronte la Sestese, nella finale giocata a Sesto San Giovanni, sul campo della Pro Sesto. Fu la classica finalissima, molto tirata e aperta a ogni epilogo, e dopo lo 0-0 dei tempi regolamentari abbiamo prevalso ai rigori, con tiro decisivo di Mirko Fumagalli (difensore classe ’93, recentemente a Mapello, ma con trascorsi nel campionato lettone, n.d.r.). E’ stata quella la molla che ha fatto scattare la consapevolezza definitiva: il Caravaggio se la sarebbe potuta giocare fino in fondo, su tutti i fronti. Non a caso, dopo che avevamo chiuso il girone di andata con sette punti di svantaggio sul Villa d’Almè, con il ritorno abbiamo dato vita a un filotto di quindici vittorie e il successo nello scontro diretto è valso da momento cruciale. Li abbiamo superati e non ci siamo più voltati”.
Fu un grande campionato, sancito da grandi piazze e grandi giocatori. Come è stato possibile?
“Erano due squadroni, l’episodio dello scontro diretto è risultato decisivo. Vincemmo, a Caravaggio, per 1-0, con gol di Mario Tagliente. In rosa potevamo contare su fior di giocatori; su tutti, Ambrosoni, dotato di tanta Serie D alle spalle, Gamba, Biava, Tagliente, Crippa, Ale Locatelli, oggi allenatore della Vertovese. C’era Lleshaj, che era già stato con me a Rudiano e che qualcuno riteneva buono solo per la corsa. E abbiamo visto tutti, quanto e dove abbia vinto. E c’era Zucchinali, oggi capitano a Telgate: a quei tempi era giovane, ma col tempo ha dimostrato di poter fare una signora carriera. Oltre alla società, vorrei sottolineare i meriti dell’allenatore. Credo di avere dimostrato qualcosa, nei 16 anni di Eccellenza che ho vissuto; eppure nessuno oggi sembra avere bisogno di me. Qualcuno maligna che ho vinto solo perché ho sempre avuto ottimi giocatori a disposizione. Eppure, nel tempo, ho dimostrato di poter condurre in porto tutti i tipi di obiettivo: dal campionato di vertice, alla salvezza ottenuta subentrando in corso d’opera”.
In tempi recenti, in effetti, il nome di mister Finazzi è associato alla salvezza della Pradalunghese, in Promozione. Ed è ormai passato un anno. Ti sei spiegato il perché?
“Sinceramente non me lo spiego fino in fondo e non manca una nota di rabbia e di rammarico. Ho vinto in tutte le categorie e credo che lo stesso recente passato dimostri che a qualcosa posso servire. Penso a Pradalunga, ma penso ancor di più alla mia esperienza di Cisano Bergamasco. Arrivai alla Cisanese e la situazione era disperata, ma abbiamo dato vita a una rimonta impressionante e bellissima, verso la salvezza. Se devo trovare una nota stonata, c’è senz’altro la retrocessione con il Valcalepio, ma bisogna pur tener presente che subentrai a dieci giornate dal termine. Secondo me, non è mai questione di obiettivi, non ci sono allenatori da prima fascia e allenatori da salvezza. Può darsi che il mio problema stia nel fatto che non sono amico dei direttori sportivi. Certo penso ai trionfi in Eccellenza, penso a Rudiano e Caravaggio, senza comunque dimenticare i due ottimi anni alla Grumellese, ma non si può tralasciare che la mia carriera sia iniziata molto prima. La Promozione ebbi modo di conoscerla, per la prima volta e con successo, alla Romanese, nei primi anni di carriera. La gavetta dunque l’ho fatta. Mi sono sempre messo in gioco e, chiaramente, quando arrivi in corsa prendi quello che c’è. A quel punto, se conosci un giocatore, è già tanto”.
Nikolas Semperboni