Il 9 giugno di trent’anni fa, la Nazionale di Azeglio Vicini faceva il suo esordio ai Mondiali. Quelli di Italia ’90, quelli delle “Notti magiche”. Contro l’Austria, partì la lunga corsa azzurra verso il titolo, in un clima scandito dalla trepidante attesa e da una rinnovata speranza, rinfocolata dai ricordi di un Mondiale vinto, soltanto otto anni prima, nell’edizione spagnola. Le premesse, tuttavia, erano da ritenersi ben diverse. Se nel 1982 la Coppa alzata al cielo madrileno dalla squadra di Enzo Bearzot era stata salutata come una benedizione, dopo gli scandali del calcio-scommesse, nel ’90 tutta l’Italia calcistica viaggia a gonfie vele, individuando nel trofeo iridato il momento più utile alla consacrazione. Soltanto poche settimane prima, i club del Belpaese avevano fatto incetta di premi continentali, con il Milan di Sacchi a segno nella Coppa dei Campioni; la Juve in Coppa Uefa e la Sampdoria del presidente Mantovani in Coppa delle Coppe. Un favoloso tris di risultati, a coronamento del ruolo strategico svolto dalla Serie A di allora, ancora in grado di calamitare fior di campioni, esprimendo il top per quegli anni in termini di qualità e vocazione allo spettacolo. Basti pensare che nell’edizione di Italia ’90, quando ancora nulla lasciava presagire a quel che sarebbe successo con la Sentenza Bosman, il 10% dei giocatori selezionati dalle rispettive squadre nazionali proviene dalla Serie A e i volti sono arcinoti: Gullit e Van Basten per l’Olanda; Matthäus, Voller e Brehme, per la Germania Ovest; Dunga e Careca per il Brasile, oltre naturalmente al fuoriclasse, per eccellenza, di quegli anni, vale a dire l’argentino Diego Armando Maradona. L’Italia arriva al grande appuntamento con la consapevolezza di essere un gradino sotto, ma con la complicità del sorteggio, complessivamente abbordabile, intuisce di potersela giocare fino in fondo, trascinata, a furor di popolo, dal fattore casalingo. Dopo l’edizione del 1934, peraltro scandita dal successo azzurro, oltre che dalla propaganda fascista, il Mondiale è finalmente tornato in Italia, in coda a un periodo sostanzialmente favorevole: gli Anni Ottanta, quelli della “Milano da bere” e dell’ostinata ricerca del benessere. Si palesano personaggi chiamati a scrivere, anche negli anni a venire, la storia del Pallone tricolore. Nel bene e nel male. Tra i tanti, all’ombra del COL – il Comitato Organizzatore, nonché punto d’incontro strategico per i più svariati interessi – si distingue Franco Carraro, Sindaco socialista di Roma, già presidente del Coni e per tre volte Presidente della FIGC. E poi Luca Cordero di Montezemolo, reduce da una prima parentesi in qualità di direttore sportivo della Ferrari; designato, a più riprese, per scrivere importanti pagine di sport e affari, specialmente in tema di grandi opere. Attorno ai due prende quota l’attività del COL, nel segno della voglia di spendere e spandere. Ne scaturisce un’edizione molto attesa, ma che si concluderà con un bilancio inferiore alle aspettative. I turisti non arrivano, o almeno ne arrivano meno del previsto, anche per timore degli Hooligans che, invero, restano confinati in Sardegna, teatro delle partite della Nazionale inglese. Ma soprattutto i costi per stadi e infrastrutture vanno ben al di là di quelli pattuiti, fino a diventare astronomici, presentando un conto ancor più salato con Tangentopoli, di due anni più tardi, e con l’apertura delle prime inchieste relative ad appalti e infortuni sul lavoro. Non manca infatti una sgradevole coda di sangue: sono 24 i morti, per episodi adducibili ai cantieri, a partire dagli stadi, nel nome della suddetta voglia di spendere e spandere. E che al dunque non sia davvero andata come ci si aspettava lo testimoniano due impianti in particolari, due autentiche cattedrali nel deserto. Da una parte il “Delle Alpi” di Torino, costruito per Italia ’90 e smantellato già nel 2008. E poi il “San Nicola” di Bari, costruito su progetto di Renzo Piano; il più bello e avveniristico, eppure destinato a restare vuoto e mal corrisposto. In entrambi i casi, la Spada di Damocle costituita dalla pista di atletica, per uno spettacolo polifunzionale, ma non per lo spettacolo calcistico. Il resto è storia di oggi, con la corsa agli ammodernamenti e agli impianti di proprietà. Insomma, quel che nacque allora diventa subito maledettamente vecchio, in linea con una progettualità più attenta all’apparenza che alla sostanza. Il flop di quell’esperienza è ancora oggi sotto i nostri occhi e, se possibile, viene suggellata dal verdetto del campo. Gli azzurri di Azeglio Vicini, infatti, non trovano la stessa fortuna della spedizione di Spagna ’82, nonostante il boom di Totò Schillaci, capocannoniere di quell’edizione, e di Roberto Baggio. Il 3 luglio 1990, nella semifinale del “San Paolo” di Napoli, al cospetto dell’Argentina di Maradona, il triste epilogo ai rigori. Il nuovo che avanza, evidentemente, gira altrove. E ad alzare la Coppa del Mondo ci pensa la Germania Ovest. Una Germania sostanzialmente riunificata, pochi mesi dopo la caduta del Muro di Berlino.
Nik