C’è questa cosa che non è da direttore quale sono, oltremodo corretto e responsabile, ma semplicemente da Matteo, un calciatore. Ci sono due vicende, entrambe accadute in questo fine settimana, di cui abbiamo dato notizia perché è il nostro lavoro. Nella prima, Accademia Isola-Sovere, c’è stata una rissa finale, nella seconda, Calcinatese-Calcense, c’è stato un pesante battibecco tra i due allenatori, Perelli e Corna, tra l’altro tutti e due che conosco e che stimo come tecnici per come lavorano coi loro ragazzi e per quanto si fanno il culo in Terza categoria.
Agli episodi abbiamo dato spazio sul nostro giornale, anche perché il dovere di cronaca è sacro e sacrosanto. Ma entrambi hanno avuto poi un interminabile strascico in questa settimana che non mi trova convinto del tutto perché, in tempi social, si rischia di rovinare la vita privata di chi se ne è reso protagonista. L’Accademia Isola ha messo fuori rosa due suoi calciatori, il Sovere è diventato per tutti il club razzista della Bergamasca, Perelli si è sfogato con Corna che è un padre di famiglia e che descritto così sembrerebbe chi non è, che invece è una brava persona, che fa i salti mortali per allenare un gruppo di ragazzotti e farli divertire per pochi euro di rimborso.
Dico solo che io ho giocato e non mi vanto di quello che ho fatto, mi è capitato di darle e di prenderle, e ancora adesso scendo in campo regolarmente il martedì sera a Orio e mi succede di incazzarmi duro, ancora di darle e di prenderle, nonostante non mi sia mai picchiato con qualcuno in tutta la mia vita. Questo voglio dire, che il nostro gioco, che è bellissimo, a volte ci fa perdere la testa trasformandoci per un paio d’ore in quello che non siamo. Spesso, per fortuna, diventiamo uomini migliori, raramente diamo invece vita a una pessima rappresentazione di noi stessi perché oltremodo arrabbiati. Tutto qui. Io non penso che l’entourage del Sovere sia una banda di razzisti, tutt’altro, come i due ragazzi dell’Accademia Isola e gli altri che si sono azzuffati sono certo che non sono dei violenti, come so che Corna non è un maleducato. Semplicemente capita che a noi, gente del calcio, qualche volta parta l’embolo. Fa parte del gioco. Per via che vincere è lo scopo e magari quella partita è fondamentale oppure perché ti hanno toccato duro sul ginocchio che ti fa male da giorni, o, ancora, per frustrazione, perché l’avversario non te la fa mai vedere. Avviene in Prima categoria, in Terza, negli Over 40, come in Champions League e in Serie A.
Questo non vuol dire che gli episodi in questione siano da applaudire, li condanniamo ogni qual volta succedono, sperando non si ripetano più, ma che vadano calati nel loro ambito, appunto quello del pallone, evitando di trasformare in mostri social chi nella partita ha sbagliato, insultando il dirimpettaio, per poi finire alla gogna per giorni, magari con interminabili casini sul proprio posto di lavoro. Ci sono un arbitro e un giudice sportivo messi lì apposta dalla federazione per comminare delle pene, ergersi a moralizzatori può fare aumentare la tensione che già in questi mesi è altissima e si registra ogni fine settimana persino sugli spalti delle partite del calcio giovanile. Non è lavarsi le mani, ma provare a pensare a come circoscrivere episodi che, quando io giocavo, si chiudevano la domenica sera dopo la pizzata, e adesso, con Facebook e Instagram, possono portare a screzi e a odi infiniti tra i vari contendenti.
Matteo Bonfanti