Il dualismo che inavvertitamente fa squadra: “Abbiamo vinto l’Europa League riservando a Musso, l’investimento economico molto sostanzioso della società, il ruolo portiere di coppa, dopo averlo alternato fino all’inverno con Carnesecchi che era l’emergente, il futuro. Il rischio di una rivalità in spogliatoio l’hanno risolto loro, uno chiedendo la cessione senza trovare sistemazione e l’altro cedendogli il posto quando si giocava fuori confine”. Tutta la verità di Gian Piero Gasperini sul come fare squadra a volte dipenda dai singoli e dal caso: “A inizio stagione avevo chiesto al club di cedermi uno dei due perché si sovrapponevano, ma mi hanno lasciato addosso la patata bollente. Non ho alcun merito, è come se in un’azienda delle vostre ci fossero due amministratori delegati. Ma soprattutto grazie alle rispettive mogli o compagne, Juan e Marco sono diventati molto amici”.

Il tecnico dell’Atalanta è intervenuto così, per il saluto finale, all’assemblea aperta del Comitato Piccola Industria di Confindustria Bergamo, intitolata “PMI in campo: fare squadra per crescere” all’auditorium dell’Accademia della Guardia di Finanza di via Statuto. Non è stato, il suo, un seminario o un discorso motivazionale all’americana, pur avendo mantenuto fermi i princìpi di sempre. “All’Atalanta si devono soprattutto valorizzare i giocatori, più che vincere. Si parte dalle qualità dei giovani da sviluppare e io per tanti anni ho fatto settore giovanile alla Juventus, per poi ho lavorare spesso con squadre che basavano la loro politica sui giovani. Lavorare nei vivai è molto difficile. Le prime squadre sono zeppe di stranieri e fatichiamo a sfornare campioni. Siamo noi a sbagliare qualcosa, però, se l’ottanta per cento dei ragazzi gioca a pallone e non ci sono campioni. L’errore è chiedere il risultato, si iniziano a fare tornei a sei anni e si fanno selezioni quasi solo sul piano fisico a livello professionistico, li scelgono una spanna più alti”.

L’esempio è quello della polisportiva blaugrana incontrata in Champions a fine gennaio: “Il culto dei risultati a tutti i costi ha creato gravi danni al calcio giovanile. A sei anni gli fanno già disputare i tornei coi rispettivi genitori che si azzuffano in tribuna. Vincere vuol dire vincere contro se stessi, superare i propri limiti e le proprie difficoltà. Abbiamo bisogno di recuperare la bellezza dello sport e del calcio: ai risultati bisogna arrivare attraverso i valori del calcio. Bisogna lasciar liberi i talenti di giocare e anche di sbagliare – il Gasp-pensiero -. Ad alti livelli la selezione nello sport avviene comuqnue in modo naturale. Ma c’è modello e modello. Il Barcellona ha tanti ragazzi giovanissimi, anche fisicamente normali, a parte Yamal che è un fenomeno. Hanno rispettato la loro razza: non hanno bisogno di essere alti due metri e forti, gli spagnoli rispettano la razza mediterranea che sono e puntano sul talento”.

“Nel calcio ci sono giocatori che possono giocare e giocatori che sanno giocare. Panatta fa la stessa distinzione nel tennis. Poi si vince secondo diverse componenti, l’organizzazione, la tecnica o la fisicità. Ho visto tanti giocatori di talento giocare da soli. Per raggiungere il risultato anche la mia ricetta è la squadra, ma le sfaccettature sono tante” (Gian Piero Gasperini alle PMI di Bergamo).