Daniele Carminati

è uno di quei nomi che, nel mondo delle corse estreme, non passano inosservati. Bergamasco, runner instancabile e appassionato della montagna da sempre, ha alle spalle almeno un centinaio di gare e una determinazione che va ben oltre la fatica.
La sua storia comincia circa tredici anni fa, quasi per caso, quando una dottoressa della struttura in cui faceva volontariato lo osserva correre e lo incoraggia a prendere sul serio quel talento naturale. Da lì, l’ingresso nei Runners Bergamo e l’inizio di un percorso che oggi lo ha portato a correre su distanze di 100/120 km, il suo “range ideale”.
“Nei primi anni mi allenavo un po’ a caso — racconta sorridendo — poi ho deciso di affidarmi a un allenatore. A un certo punto, però, ho sentito calare la passione, e ho capito che dovevo cambiare. Ora mi segue un professionista che è anche un grande amico: mi prepara tabelle settimanali con allenamenti sempre diversi, che alternano corsa e palestra. Mi alleno sette giorni su sette, anche due volte al giorno”.
Non solo allenamento fisico, ma anche attenzione alla nutrizione. Carminati segue un’alimentazione vegetariana: “Diversi studi dimostrano che eliminare carne e pesce può aiutare a ridurre le infiammazioni e accorciare i tempi di recupero. Su di me ha funzionato”.
Le sue imprese parlano da sole. Tra le più dure, il Tor des Géants, la leggendaria gara trail di 330 km con 30.000 metri di dislivello in Valle d’Aosta. “Ci ho messo sei giorni. Il problema più grande? Il sonno. Ho dormito al massimo otto ore in totale, e anche il cibo è stato una sfida continua”.
Anche l’asfalto ha il suo inferno, come la 9 Colli Running, seconda ultramaratona più dura al mondo: 202 km in autosufficienza, da Cesenatico, attraversando gli Appennini. “Sono arrivato quinto assoluto, secondo italiano. Sono partito a mezzogiorno e ho tagliato il traguardo alle dieci del mattino successivo. Ancora oggi non mi sono ripreso del tutto”.
Il prossimo sogno? La Badwater 135, la gara più estrema del mondo, che si tiene ogni luglio nella Death Valley, in California: 217 km con temperature che superano i 45 gradi.
Quando gli chiedo perché lo fa, Daniele non ha dubbi: “Corro per un senso di libertà. E per diventare una persona migliore. Lo sport, con le sue regole non scritte, ti insegna molto più di tante università”.
Oggi condivide la sua passione anche con i ragazzi della comunità in cui lavora, organizzando uscite nella natura per avvicinarli alla corsa e alla montagna. Il suo consiglio per chi vuole iniziare? “Fallo con passione e consapevolezza. Non serve essere super atleti: se te la senti, sei già a buon punto”.
Una corsa dopo l’altra, Daniele Carminati non conquista solo traguardi. Parlare con Daniele Carminati è stato molto più di un’intervista: è stata un’esperienza profondamente ispirante. La sua umiltà, la sua disciplina e il modo in cui riesce a trasformare la fatica in crescita personale lasciano il segno. Un esempio autentico di come lo sport possa insegnare a vivere meglio.
Valentina Pansera