Hai voglia a dire che le valutazioni finali, voto numerico compreso, risentono del risultato. L’Atalanta, come impianto di squadra, rivisitato a 3-4-1-2 col trequartista deputato agli inserimenti centrali e al pressing sul portatore di palla, non ha retto all’urto offensivo del Paris Saint-Germain raccogliendo alla fine i cocci di un vaso che starà all’allenatore evitare che diventi di Pandora. Troppe assenze, ma anche scelte iniziali sbagliate.

Carnesecchi 7: evita il raddoppio precoce in tre occasioni, quindi il tris sul rigore sbagliato da Barcola, ipnotizzato tre volte al netto del gol annullato. Il suo lo fa. Ma davanti ha il Presepe morente.

Kossounou 6: l’unico a crederci, e alla fin fine Barcola, l’avversario diretto, è efficace quando gli gira al largo, dove ovviamente nessuno può tenergli il passo. Spinge pure non poco e a due corsette dal ventesimo a momenti pareggiava.
Hien 5,5: Luis Enrique sa che senza un riferimento fisso lo svedesone perde un po’ la trebisonda e perciò avanza Mayulu a falso nueve. Tutto ok, mossa intelligente, ma le contromisure proprio non erano possibili? Senza uomo fisso, non si può seguire la palla insieme allo sviluppo dell’azione?
Djimsiti 5: la domande della vigilia era “chi tiene Kvaratskhelia, se i buchi al polpaccio sinistro smetteranno di tormentarlo?”. Il mercoledì sera, la mancata risposta. Letteralmente di sale nella conduzione del raddoppio (30’ st Scalvini sv facendosi pure male, 40’ st Ahanor sv all’esordio assoluto nell’Atalanta e in Champions League).

Bellanova 5: crossa che è un piacere, ma dietro da quinto in una fase difensiva a cinque non acchiappa l’assistman da 1-0 Ruiz e non vede Mendes sul tris nemmeno col cannocchiale. Perché, poi, regalare gol all’unico centravanti altrui disponibile?
De Roon 5: dite quel che volete, ma era il libero davanti alla difesa. Nel primo tempo, pezza non cucita per difetto di misura, ago e filo. Uno come lui è da spada più che da fioretto, figurarsi se può cucire i reparti davanti una corazzata che non vive certo di tatticismi e parte per affondare il naviglio altrui. 
Musah 5,5: il pestone ino-ino da rigore poi cannato da Barcola è il meno. Non che Joao Neves combini chissà cosa. Lui rientra per coprire e avanza a pressare, senza colpe specifiche ma manco convincendo molti circa l’utilità del suo utilizzo numero uno da nerazzurro (30’ st Brescianini 6: lo butti dentro e lui ci mette stazza e grinta, anche se l’unica palla capitatagli è sporca e mal indirizzata. Visto che il centrocampo parigino, Ruiz a parte, non è così fisico, perché non usare l’erbuschese dall’inizio se proprio si voleva far densità in mezzo?).
Bernasconi 5: l’essere al ballo dei debuttanti anche in Champions, dopo il finalino concessogli contro il Lecce per l’esordio in A, o anche la bergamaschità congenita (papà cittadino di San Paolo, mamma cugina prima del compianto Oliviero Garlini), non gli garantiscono il sei politico. La catena Hakimi-Kvara era veramente troppo, in tutti i sensi. E lui più che rimanere lì facendo su e giù senza costrutto non poteva fare. 

Pasalic 6: si salva dall’insufficienza perché è il primo a provarci sottoporta, il primo a tirarci, in quella stramaledetta porta, e perché nonostante una palla sanguinosamente ceduta al nemico sul gol annullato a Barcola non smarrisce la trebisonda. Esperienza e abnegazione, però, non bastano, quando gli altri paiono fantasmi all’orizzonte.

De Ketelaere 5,5: ciao ciao adduttore sinistro, sperando sia qualcosa di lieve entità. Recuperi alti e dialoghi geometrici con Bellanova, appoggini e visione della porta lasciata agli altri: insomma, così così. Esame di leadership da rimandato a ottobre, come si faceva un tempo, pur dopo l’ottima prestazione col Lecce. A Torino, al massimo, potrà esserci con la Juve (1’ st Samardžić 5,5: entra e dopo 4 lancette Mendes piazza il tris. Al talento serbo non resta che far capire una volta di più che è una mezzala a tre, quindi non un trequartista destro a piede invertito né una punta d’appoggio alla Malinovskyi per come Gasperini aveva riciclato l’ucraino).
Maldini 4: perde palloni anche davanti, mica solo sul primo affondo da primo gol francese di cui deve ingoiare la fetta più grossa della responsabilità (1’ st Krstović 6: azzarda in asse con Kossounou la seconda e ultima conclusione nello specchio dei suoi, provando a fare a sportellate quasi da solo, anche perché Super Mario è esausto e Samardzic non è esattamente da battaglia campale. La sensazione è che buttato in mischia dal primo minuto qualche grattacapo l’avrebbe procurato).

All. Juric 5: che Maldini avrebbe giocato dallo start lo s’era capito dalla titolarità regalata a Kamaldeen contro il Lecce. Il ghanese domenica è stato fumoso, il figlio d’arte coi genitori in tribuna l’anello debole della catena. Togliere Zalewski, il pupillo dei pupilli, per inserire Bernasconi, puntando sul fisico e su un esterno sinistro di piede mancino, l’unico finché Bakker non si sarà rimesso, non ha sortito gli effetti sperati. Contro Kvara sceglie Djimsiti che non lo becca mai, per poi inserire l’infortunato di ritorno Scalvini. L’allievo del rimpianto maestro, alla prova dei fatti, scegliendo di rinunciare al tema sicuro e congeniale del 3-4-2-1, che magari non avrebbe cambiato alcunché ma quantomeno pareva l’unica certezza cui aggrapparsi, rimedia il voto che il risultato non può non affibbiargli. 
Esseffe