Per me che ho sempre amato il calcio, anche perché ci gioco ininterrottamente da quarant’anni, la pallacanestro è stata una sorta di folgorazione sulla via del giornalismo. Ero giovanissimo, appena sedicenne, ai miei primi zoppicanti articoli per l’allora Gazzetta di Lecco, bisettimanale di colleghi esperti ed entusiasti. Sono passati più di trent’anni e dell’allora capo della sezione sportiva non ricordo neanche più il nome, ma il viso sì e pure le sue parole, “ti va di seguire per noi le partite di Cantù?”. Con l’entusiasmo di un ragazzino, non esitai a rispondergli di sì, nonostante ignorassi persino le regole della disciplina. Chi conosce il basket lo sa, e per me innamorarsene fu un attimo, il parquet del Pianella che vibrava, le mitiche sfide contro una Milano stratosferica in Coppa e in campionato, i tifosi della pallacanestro, così simili eppure immensamente diversi dalla mia gente, appunto quella del fubal. Emozioni sulla sirena, giocate magiche degli americani arrivati in serie dall’Nba, cori e canti, rivalità storiche e il vecchio adagio di Davide che, va detto qualche volta, regalava lezioni a Golia.
Poi la vita mi allontanò dal basket, ma una sbirciatina sul Televideo per vedere il risultato di Cantù la davo ogni domenica. Da Lecco a qui, in questa città che ora sento come la mia, per lavoro, ad appena ventitré anni, e al Nuovo Giornale di Bergamo serviva qualcuno che si mettesse anima e corpo su un’Atalanta da sogno, giovane e sbarazzina, indomita. Anni bellissimi, meravigliosi, quelli del burbero Vavassori e dei talenti forgiati a Zingonia, su tutti i gemelli Zenoni, il Dami e il Cri, due portenti, arrivati direttamente dalla selva di Zandobbio per spaccare il campionato.
Mai dire mai e con l’inizio del nuovo secolo ecco l’Intertrasport dell’eterno Bubu Burini, geniaccio della pallacanestro meravigliosamente cantato da un maestro della penna come il collega Arturo Zabaldo. Il suo entusiasmo contagioso mi portò al Palazzetto, quello mitico, in Piazzale Oberdan. Ci entrai e di nuovo le emozioni sulla pelle sentite da giovanissimo. Non sto a dilungarmi, la storia è nota, il club orobico ci fece sognare, poi, in un batter d’occhio e senza neanche avvertirci, chiuse malinconicamente la sua gloriosa storia lasciandoci per parecchi anni orfani del basket.
Ed ora eccoci qui, due decenni dopo, con queste righe, vi garantisco dettate dal cuore, che scrivo perché le stesse mie emozioni, quelle vissute prima a Cantù e dopo a Bergamo, le hanno provate in modo pressoché identico domenica sera i miei due figli, Vinicio, che ha 19 anni, e Zeno, che venerdì ne compie 17. Come moltissimi della loro generazione, i miei ragazzi sono corsi alla Chorus Life Arena per assistere alla sfida tra la Blu Basket e l’Urania. Non avevano mai visto una partita di pallacanestro e ora non riescono a smettere di parlarne, “è stata una serata magica”, mi ripetono nelle nostre pause pranzo, “uno spettacolo unico”, la loro felice sentenza.
Non solo loro, l’intera cittadinanza ha accolto con un entusiasmo incredibile il ritorno del grande basket nella nostra città. Detto che stasera alle otto e mezza ci sarò anche io, a godermi il match di cartello tra la Blu Basket e Pesaro, e al netto che gli uomini del gruppo Mascio hanno già vinto, parlo di Fabrizio, l’infaticabile addetto stampa, fine conoscitore della magia del pallone a spicchi, e dell’illuminato presidente che di nome fa Stefano, il sogno è che il Gruppo Mascio riesca a stabilirsi a Bergamo, e che ne diventi il simbolo cestista. Tutti ne abbiamo voglia, immensamente, stasera sarà la seconda prova e gli appassionati di gialli lo sanno, due prove non danno una certezza, ma spesso mettono gli investigatori sulla strada giusta, nel nostro caso, quella della squadra di coach Zanchi.
Matteo Bonfanti
mercoledì 15 Ottobre 2025

