di Simone Fornoni

Hanno scelto, per festeggiarlo e dirgli un semplice ciao, sperando sia soltanto un arrivederci, la domenica senza la partita. Perché a quella non avrebbe mai rinunciato. Non c’era, a parte sulla torta, il nerazzurro della sua Atalanta, che segue fin dalla serie C, come tutti i bergamaschi della generazione di mezzo che alle tradizioni del sangue non sanno e non possono dire di no. A salutarlo, perché va a parare altrove ma non coi guantoni, c’era il giallonero della polisportiva locale. Non sono state le sirene del calciomercato, pardon del bar-mercato, ad allontanarlo dalla sua Curva, ovvero la gente che frequenta quello che la siglia di Cheers /Cin Cin, serie tv anni ottanta, definiva il posto “Where Everybody Knows Your Name”, dove tutti conoscono il tuo nome, come cantava Gary Portnoy. 

A differenza di Ademola Lookman, lui, Marco Carissimi, il contratto in scadenza ce l’ha davvero. Quello, insieme all’ex consigliere comunale Simone Paganoni, della gestione del Bar San Paolo, la massima espressione della parrocchia e dell’oratorio omonimi. Anzi, l’epicentro di tutte le attività. Il luogo della colazione degli abitanti del quartiere più giovane di una Bergamo con una voglia matta di socialità in un mondo sempre più interconnesso ma solo via web, dei pranzi degli alunni delle scuole del circondario, degli aperitivi degli allenatori dei ragazzi delle Api (chissà se si saranno mai chiamati così, boh). Il posto dove si organizzano le feste estive e di ogni altra stagione. 

Un posto informale, perché imperniato sul contatto umano del viavai incessante di persone alla ricerca di svago, relax, stacco dal lavoro o dalle preoccupazioni quotidiane. Un posto raggiungibile da chiunque nel quartiere e oltre, visto che sia Loreto che il Borgo San Leonardo sono a un tiro di schioppo. Per chi scrive, un punto scritto a pennarello nero indelebile lungo il triangolo casa-redazione di Bergamo & Sport-supermercato. Perché da quattro anni e mezzo dal rientro in città, lasciando stare i sette mesi precedenti da clandestino ai margini, è l’unico appiglio per i pre e i post partita, anzi per i pre i post qualunque altra cosa. Una birra e qualcosa su cui contarla su. Il modo più comodo di tornare bambini, quando l’oratorio aveva un senso e significava socializzazione primaria, e di lasciarsi alle spalle le rotture di palle, i colleghi, il lavoro, le tristezze della società dell’incomunicabilità de visu per chi campa di comunicazione.

L’hanno attirato nel trappolone, Marco, l’epicentro di questi viavai incessanti di gente di ogni età alla ricerca della qualunque, telefonandogli che un guasto ai frigoriferi stava allagando il bar a cui deve dire addio. Per un momento, stravaccato sul divano, perché quando non gioca la Dea o si lavora perché è un giorno feriale o si sta a casa perché è un festivo, si sarà detto, vabbè, chiamo il tecnico e ci pensa lui. Poi, però, l’attaccamento a un luogo che non è solo quattro mura col tetto sopra, ma il cuore pulsante di una comunità che al cuore non rinuncia perché darsi una mano non costa niente e alla fin fine respiriamo tutti la stessa aria, ha agito da richiamo irresistibile.

Ed ecco decine di persone, forse più d’un centinaio, invitate per lo più dalla prode Angela che per indurle a partecipare non ha rinunciato nemmeno al trucco dei bigliettini allungati di soppiatto dal bancone, meglio di un nodo al fazzoletto per quelli della nostra generazione che se li scambiava a scuola spesso per ragioni abbastanza piacevoli, erano lì pronte a fargli la festa a sorpresa. Brava gente, capace perfino di sopportare la presenza del cronista che da lì ha scritto di una partita appena vista dall’altra parte della città mentre ne guardava un’altra. Un commiato da eroe della Curva Nord, che poi è la sua curva davvero. Mille di queste partite coi tuoi eroi del pallone, i tuoi clienti e i tuoi amici, Marco: passati, presenti e futuri.