Mi mancano le strade, questo tempo sospeso mi mette addosso l’impressione che ce le abbiano portate via, senza dircelo, di soppiatto, come in “Chi ha incastrato Roger Rabbit”, il mio cartone animato preferito, quello che vedevo e rivedevo da bambino. Da ieri mi sento in quella scena, il Giudice Morton che prende la superstrada tra le mani, la alza, l’appallottola e la fa sparire.
Mi manca la Briantea. Mi mancano Longuelo, Curno, Mozzo, Ponte, Mapello, Pontida, la curva che porta a Caprino e che mi fa ricordare i miei primi articoli, Cisano che è la Cisanese del Roby e del Beppe, il ponte di Brivio, Airuno e finalmente Valgreghentino, la porta di casa di mia mamma che si apre, lei che non c’è, che è andata con altri tre irriducibili sessantottini a protestare sull’Adda per difendere il diritto alla vita della rana toro, che forse sta rischiando l’estinzione o forse no ed è solo un pretesto per andare. Mi manca aspettarla all’infinito, con Erni, suo marito, che mi prepara un panino con il formaggio che vende suo nipote e un chilo di maionese, parlandomi prima del Milan, quindi dell’Atalanta. “Mai visto una squadra giocare così bene…”, “mai visto…”, “mai visto un calciatore geniale come Ilicic…”, “mai visto…”, “mai visto un Milan tanto schifoso”, “mai visto…”, “e sì che Ibra ce la mette tutta”, “sì, ma Erni, sono lui e Theo, degli altri domenica manco l’ombra”.
Mi manca la 35, quel tratto di cemento che taglia in due la Val Seriana, il nostro gioiello. Mi mancano il rondò delle Valli, Torre, Ranica, Alzano, Nembro, Pradalunga, Albino, Cene, Cene sud, Gazzaniga, la Val Gandino. Mi manca il sole che illumina le montagne tutte intorno, più di tutto mi manca la gente, che all’inizio è diffidente, dopo un minuto invece ti dà il cuore, e se lo fa, lo fa per sempre. E forse per questo sono nel casino, perché sono le persone più buone al mondo, di abbracci e di carezze, di carezze e di abbracci. Mai distanti.
Mi manca il rondò di Orio, il casino che c’è a Seriate, la mia Panda che all’improvviso è senza metano e che ha appena un filo di benzina, con quei brividini che mi mette addosso finire nel disastro, che tra poco rimango a secco, tra poco poco, tra poco poco poco. Bene, sono a piedi, ma non è così importante perché ogni volta c’è qualcuno che mi aiuta, del resto i bergamaschi sono fatti così, ti portano al benzinaio, ti danno pure i soldi se hai perso il portafoglio, tra mille porconi, alcuni talmente creativi che meriterebbero di finire tra le pagine dell’Accademia della Crusca.
Mi mancano le canzoni alla radio, “tutta mia la città”, “estate”, “c’era un ragazzo”, “luci a San Siro”, “un raggio di sole”, “la Vespa che è una Special”, che ormai sono vecchissime e sono solo lì, nel cruscotto, appena accendo la macchina.
Vivo a Bergamo, il lunedì vado in giro, porto il mio giornale a chi ci fa la pubblicità. Oggi no, me lo sono evitato. Non l’ho fatto perché ieri notte tornavo dalla nostra sede e mi è venuto il magone. Penso un po’ perché il nostro settimanale non parla più di pallone, ma racconta il dolore delle persone che hanno perso il loro papà, la loro mamma, la loro zia, e noi ci proviamo a trovare le parole giuste per stargli vicino, anche se non è il nostro che siamo e restiamo giornalisti sportivi. Molto per la desolazione delle sirene delle ambulanze.
Non c’era nessuno, davanti una città fantasma, senz’auto, ma con in sottofondo quel rumore, che non è un canto, ma una litania angosciante perché racconta che qualcuno che conosci, adesso sta male male. Chi non è ora qui, a Bergamo, nell’Isola, nelle valli o a Seriate, non può capire la disperazione di chi ha rinunciato a percorrere le sue strade. Spero finisca presto presto.

Matteo Bonfanti

Nella foto la mia Panda, ferma e triste, come tutte le altre maghine dei bergamaschi