C’è questa speranza, giovane e nuova come i tantissimi ragazzi che c’erano questo pomeriggio nel centro di Bergamo, in via Venti Settembre, una cosa che adesso è piccola piccola, ma che ha tutto per diventare grande e forte. E’ questo sentimento, la voglia di giustizia, che unisce chi vive nella nostra provincia, quella di Bergamo, la più martoriata al mondo da uno tsunami chiamato covid 19, terribile malattia che ha ucciso moltissime persone e ogni nostra certezza.
La sentono le donne, quelle del collettivo ormai famoso, mai così presenti nel dibattito sul mondo che vogliamo costruire ora che l’emergenza legata al coronavirus sembra ormai alle spalle. Fontana e Gallera, ma pure quelli al governo, Conte su tutti: fidanzate, mamme e nonne sono state lasciate sole dalle nostre istituzioni, sole nella cura dei parenti, nei mesi che i nostri ospedali non ricoveravano più nessuno, sole nell’istruzione dei propri figli, con le scuole chiuse per troppo tempo, sole nel dolore di non potere manco salutare i cari uccisi sia da questa malattia che dal modo in cui è stata gestita dai vertici della nostra sanità.
Ma la voglia di giustizia c’è anche tra i moltissimi che adesso si trovano nella miseria, chi ha perso il proprio lavoro, travolto dalla crisi economica che stiamo vivendo, come chi sta ancora aspettando la cassa integrazione di aprile, le persone lasciate indietro, senza il minimo aiuto dello Stato. La vivono anche quelli che sono stati in prima linea, medici e infermieri spesso senza protezioni, nell’impossibilità di fornire cure adeguate.
Al netto dei molteplici e gravi errori delle nostre istituzioni, l’impressione è che a Bergamo si stia creando una rete perché tutto questo non accada più e che la politica che sceglie Confindustria prima della salute dei cittadini sia davvero al suo ultimo giro di giostra.
Mentre consiglieri regionali e parlamentari sono al sicuro grazie ai loro stipendi a quattro zeri, nella nostra provincia nessuno vuole continuare a contare le vittime. Che siano quelle del covid, della malasanità, del lavoro che non c’è più, degli abusi nelle case, di una scuola che non assicura più l’istruzione a scolari e studenti, è ora di dire basta, per dare vita a un’Italia più giusta. E il messaggio della piazza di Bergamo è rivolto a tutto il mondo della politica, mai così distante.

Matteo Bonfanti