Era da poco arrivata dall’Argentina, sola e senza famiglia nel paese di Maltolto che contava in tutto circa tremila anime. Le voci sul suo conto girarono velocemente per il piccolo borgo soprattutto perché, nonostante una cicatrice sulla guancia a deturparle il viso, Maricruz era di una bellezza sconvolgente: i suoi occhi avevano una corona nera intorno all’iride che creava un forte contrasto con il verde smeraldo. I capelli d’ebano, leggermente mossi, erano lucenti come la seta e la sua pelle bronzea pareva di velluto e profumava di esotico. Il suo corpo poi era una bomba: sembrava scolpito nel marmo dal migliore degli artisti che aveva calcato questa Terra. I giovani corteggiatori arrivavano anche dai paesi limitrofi e facevano a gara per entrare nelle sue grazie. Alcuni, quelli troppo invadenti o maleducati, venivano espulsi dagli stessi ammiratori che le stavano sempre addosso come fossero le sue guardie del corpo e così, gli allontanati, finivano a rinfoltire la schiera delle invidiose che, non essendoci fonti ufficiali a smentirle, inventavano illazioni sul suo conto raccontando fosse arrivata dal sudamerica e senza parentela perché sterminata dalla malavita di Buenos Aires, a cui lei era strettamente legata ma sfuggita imbarcandosi clandestinamente su di un mercantile battente bandiera liberiana.

La ragazza sembrava non curarsi di queste voci e, a domanda diretta, rispondeva con un laconico “probabilmente” condito da un sorriso luminoso che toglieva il fiato. Era bella, troppo per alcuni e nonostante le malelingue raccontassero il contrario, era di dominio pubblico fra gli spasimanti che non si fosse ancora concessa a nessuno, aumentando in maniera esponenziale il desiderio di conquista. Una sera, dopo averla trascorsa al bar con amici, ad una certa ora Maricruz decise di far ritorno al suo piccolo appartamento mansardato in cima alla vecchia torre, rifiutando le molteplici richieste ad accompagnarla a casa. Era stanca: la giornata era stata lunga e faticosa.

Incamminatasi con passo spedito imboccò poco dopo una scorciatoia per casa, un vicoletto per niente illuminato che però le avrebbe accorciato sensibilmente la strada perché non vedeva l’ora di buttarsi nel suo letto. Ad un tratto, giunta circa a metà della viuzza, comparvero d’improvviso due ragazzi a sbarrare l’uscita dal vicolo. Fortunatamente, siccome illuminati dal lampione sulla strada, li riconobbe emettendo così un sospiro di sollievo: erano due sempliciotti, niente di cui aver paura. Riprese quindi a camminare sebbene con passo moderato, salutandoli per nome. I due baldi giovani però non le risposero: il loro volto era stranamente serio e, come fossero due automi, si mossero entrando nell’oscurità del vicolo. Un brutto presentimento generò un brivido lungo la schiena di Maricruz che si fermò all’istante: la giovane si voltò indietro pensando se fosse il caso di scappare ma, quando si rigirò, i due ragazzi erano a un palmo da lei.

Ciao bellezza – le disse Beppe mentre Aldo rideva istericamente – adesso ci divertiamo un po’. –

Entrambi erano eccitatissimi e perciò irriconoscibili: avevano un vistoso rigonfiamento al basso ventre e puzzavano di alcool, probabilmente per trovare la forza per fare un’atroce cazzata. La ragazza accennò alla calma però i ragazzi scattarono bloccandola al muro, mettendole una mano sulla bocca, sghignazzando animalescamente. In quell’attimo una voce stentorea scosse le pareti del vicolo facendoli sussultare. I baldi giovani si voltarono e sebbene fosse in ombra non poterono non notare l’energumeno in fondo alla via. Quindi si guardarono per decidere che fare: erano infoiati e l’idea di perdere il bocconcino esotico fornì il coraggio necessario per affrontare quell’armadio a due ante. Beppe mollò Maricruz prendendo il coltellino a serramanico che aveva nella tasca dei calzoni. Il tizio in fondo al vicolo, invece, mise a favore di luce un lucente pezzo metallico lungo quanto il suo stinco. I due sciagurati si scambiarono uno sguardo convenendo che la vita fosse meglio di una scopata, perciò scappando a gambe levate.

La ragazza, finalmente libera, scivolò lungo la parete scoppiando in lacrime. Il gigante accorse in suo aiuto: era Lillo, lo scemo del villaggio, un bonaccione, un robusto giovane uomo con un vistoso difetto di pronuncia che ne sminuiva l’immagine rude. La fanciulla, disperata, sorrise al suo salvatore gettandosi al collo e lui, imbarazzato, si rialzò di colpo da terra portandosela appresso. Fu un’immagine ridicola e tenera al tempo stesso. Un attimo dopo, rimessa nella custodia la presunta lama che non era altri che il suo amato flauto traverso, prese in braccio Maricruz riportandola a casa. Da quell’incontro i due trascorsero molto tempo insieme e si scoprì che Lillo non era poi così stupido come appariva: aveva un animo gentile che, per la prima volta, la fece sentire un essere umano e non un fortino da espugnare a tutti i costi. Avvenne così che un bellissimo giorno di aprile lei si concesse scoprendo un sentimento che le era stato precluso per tutta la vita.

Marcus Joseph Bax