La Coppa Italia, unico trofeo in bacheca (1963, San Siro, 3-1 ai granata, tris di Domenghini), è una meta che ha davanti la Fiorentina come penultimo ostacolo. Una squadra dello stesso range dell’Atalanta, in quota Europa League, con due fronti disponibili per conquistarsi la qualificazione. Visto il momento, il rendez-vous in semifinale al “Franchi” di mercoledì non fa presagire nulla di buono. Per il contachilometri da fumo nero di Zapata e compagni, schiantatisi due volte di fila contro le prime avversità e sconfitti dalla strana coppia Milan-Torino senza un vero perché sul piano del gioco. Al netto, ovviamente, delle amnesie dietro, preoccupanti oltre ogni zaffata di pessimismo. Pensate ad Hateboer, che fa l’assist a Calhanoglu per ribaltarla e il sabato dopo la porge sul piattino a Izzo per rompere il ghiaccio, con Mancini a ostacolarlo dopo il goffo bagher di Berisha sulla schienata di Pasalic. Se non fosse la Dea, parrebbe la signora suicidi. Ma al di là degli episodi, dei singoli errori, dei mancati sincronismi di reparto o fra i reparti (sul 2-0 di Falque all’Olimpico, Meité libero e padrone di crossare in barba al duo Hateboer-Freuler formato belle statuine), i nerazzurri seguitano a confermare difficoltà mostruose a cavare un ragno dal buco contro le concorrenti per un posto al sole più vicine e simili in termini di organico e di qualità del gruppo.
Pur in periodi diversi, dal traumatico post Copenaghen con l’eliminazione precoce dall’EL a pesare come un macigno su un collettivo a rodaggio lungo, fino alle pause a macchia di leopardo del girone di ritorno, i Gasperini-boys hanno preferito regalarsi emozioni forti e proibite contro le big, leggi Inter e Juventus, piuttosto che soppesare gli scontri diretti col bilancino della gestione e di una lettura tattica scafata. Tanto da farsi agganciare a 38 dalla creatura mazzarriana, che di norma fa una fatica boia a segnare. Alla faccia del fosso da scavare di cui alla conferenza stampa della vigilia. 1 punto su 6 col Toro dalle corna affilate solo in contropiede e sulle palle inattive, 0 con la Sampdoria (Tonelli, sempre da calcio da fermo) – avversaria fra due turni in campionato, al rientro della sosta per le nazionali -, ko all’inglese all’andata a Firenze e pazienza per il tuffo alla Greg Louganis di Chiesa Jr. incrociando Toloi, pareggino acciuffato in extremis in casa dei rossoneri per poi rivitalizzarli in chiave Champions nel notturno sotto la Maresana quando a venti secondi dall’intervallo sembravano già orizzontali nel loculo.
Quando si è trattato di dare un colpetto all’acceleratore, col quarto posto a una sola lunghezza di distanza, voilà, passo del gambero e tutto da capo tra affanno e incertezze. Mercoledì queste ultime avranno il volto del Papu Gomez, la cui assenza recentissima ha pesato tanto da indurre l’uomo in sella alla rivoluzione da tridente con Castagne alto prima che la coscia destra di Gosens costringesse il belga a ritornare pendolino con l’innesto dell’acerbo Kulusevski là davanti. Pretattica o no, visto che l’interessato avrebbe lamentato di fronte al mister la quasi impossibilità di scattare, il flessore sinistro bacato da Bakayoko non ha lasciato in pace il capitano per l’intera settimana. Dietro, a contrastare il tridente di Pioli, il rientro di Palomino – Djimsiti, come Freuler, è squalificato – come perno in mezzo a Toloi e Mancini o Masiello (fascia al braccio e sufficienza in pagella nell’anticipo) dovrebbe essere una svolta in positivo, sempre che sui calci da fermo a favore si sfruttino i centimetri e su quelli contro non si commetta la minima sbavatura. In corsia, out il tedesco-olandese del Reno per chissà quanto, Hateboer e Castagne sono la soluzione obbligata. In mezzo, de Roon (dietro la lavagna del giudice sportivo l’altro sabato) avrà presumibilmente Pasalic ad affiancarlo, col croato dietro Ilicic (che indolenza…). Un attacco a tre con Barrow, ormai relegato a comparsa, in un crocevia stagionale così fondamentale avrebbe poco senso. la coperta lascia proverbialmente i piedi al freddo. E contro chi si asserraglia si continua a sbattere, punte o non punte. Il tecnico ha tirato le budella ai soliti noti limitando il turnover, parolaccia alle sue orecchie, al minimo sindacale. I risultati del ricambio ridotto al lumicino non sono frutto del caso. Si boccheggia almeno dalla Spal, perché quel sudatissimo successo in rimonta non ha significato fiato e gamba supplementari. Il trend si può invertire solo grazie alla partita perfetta. Come dice chi comanda, tra il dire e il fare nel trofeo della coccarda passeranno un paio di mesi: il retour match sarà il 24 aprile o dintorni. E in regular season le restanti 13 giornate avranno bisogno dell’Atalanta vera, quella delle precedenti due annate, per coltivare obiettivi e sogni. Il non c’è due senza tre in termini di battute d’arresto, nel Wednesday Night di coppa, farebbe affiorare all’orizzonte incubi perenni. Hai voglia poi a darti la sveglia.
Simone Fornoni