“Scrivi, Bonfanti, scrivi, persino sulla carta del salame, ma scrivi se vuoi che ti riesca facile, se vuoi imparare”. E oggi che il mio prof, Silvio Puccio, se ne è andato, avrei voglia di dirgli che mi sono messo davvero, la mattina appena alzato o adesso, che è passata mezzanotte e tutti dormono, persino i gatti sul mio tetto. Ho avuto tanti insegnanti, alcuni che ci tenevano, altri che se ne fottevano, parecchi buoni, un paio crudeli. Puccio è stato qualcos’altro, il mio attimo fuggente, quello che mi ha fatto capire quale fosse la mia strada, l’amore per le parole che diventano fogli di carta e che, se si alza il vento, possono addirittura farti volare.
Sapevo che Puccio era malato, da anni mi ero ripromesso di andarlo a trovare, almeno raccontargli che c’era stato un tempo che avrei voluto diventare un uomo uguale a lui, con le frasi tutte intorno per viverne, ma restando normale, senza le mille volte che per scriverne mi è successo di sprofondare. Il mio prof era così, un grande scrittore, ma senza farcelo sapere, un maestro dal cuore immenso, ma senza farci sconti sulle minchiate che scrivevamo traducendo il De Bello Gallico, un uomo dai valori forti e controvento, gli stessi nostri da ragazzi, ma senza dirci mai il suo credo politico, quello di essere sempre e per sempre dalla parte degli ultimi, la stessa che ho scelto anch’io per guardare il mio mondo.
Gli ho regalato Il Vestaglietta, il mio libro, mia mamma gliel’ha inviato per posta, gli ho fatto una dedica che non ricordo, ma c’entrava una volta che in classe si era presentato con l’elmetto. Quando ero in quarta liceo era venuto persino a vedermi giocare a pallone, senza avvertirmi né farsi notare, per dirmi sottovoce che ero bravo e che dovevo smettere di fumare. Di lui ho il viso addosso, meraviglioso, incazzato dopo avermi consegnato un cinque e mezzo, ma col sorriso di sottecchi e con quello sguardo dolce che mi diceva “ma capita e so che ce la farai”. Non so se ce l’ho fatta, ma scrivere per me è una medicina. E forse era davvero questo il viaggio che avrebbe voluto che tutti noi, i suoi ragazzi, scegliessimo di fare.
Matteo Bonfanti