Intanto c’è che sono in vacanza, lontano dagli occhi e dal cuore, che per noi giornalisti sportivi sono la partita della domenica pomeriggio, il sole, i falli, i gol, il conto dei corner, degli assist del numero dieci e poi la redazione e le pagine a video, che hanno dentro le nostre parole. E’ sabato 8 luglio e sono ai Mondiali Antirazzisti e non sono qui per scriverne, ma per godermeli. Sono arrivato ieri con Elena e Greta, due compagne di viaggio perfette, dai pensieri soffici e divertenti. Siamo venuti a trovare un mio collega, pure lui sportivo, appena quarantino e di sinistra come me, una persona che mi piace un sacco e che di nome fa Fabio ed è convinto che un altro calcio sia possibile. Io, fino a ieri, non ci avevo mai creduto davvero. Per me il pallone è menarsi, odiare l’avversario, stenderlo se sta andando in porta, insultarlo per fargli saltare i nervi, simulare appena si può, barare, il tutto perché in Serie A come in Terza categoria l’obiettivo è solo vincere.
Eppure c’è, qui e ora, quest’aria che si respira a Modena, o meglio in un paese vicino vicino, di cui però non ricordo il nome e manco me lo sono annotato perché, ve l’ho detto, sono in ferie. Resta la voglia di queste poche frasi per raccontare una manciata di persone nuove e l’idea che sta dietro al momento. C’è Ilaria che sorride e fa le foto alle formazioni più scapestrate d’Europa, c’è Ivan, che ha portato qui una schiera di bambini del Saharawi e che mi racconta appassionato la storia della Uisp, prima popolare, solo per i poveri cristi che non avevano i soldi per far sport, dal 1988 per tutti, perché alla fine anche tanti ricchi sono poveri cristi, qualcuno messo persino peggio di noi giornalisti. C’è un fiume d’anime, cinquemila, forse di più, che si muove accanto a loro, ed è bianco, rosso, giallo, celeste e nero, e gioca a pallavolo, a rugby, a basket, insomma a qualsiasi disciplina, correndo a perdifiato. Tanti a calcio, nella gabbia tre contro tre e la sfida pare un match di pelota chiacchierata, gli avversari si fermano a raccontarsi, chi arriva dall’Inghilterra e chi da Romano di Lombardia e il match si concede una lunghissima pausa. Cento metri più lontano, ai campi dove teoricamente si dovrebbe fare sul serio perché c’è in palio una coppa grande e grossa, l’atmosfera è la stessa, una festa bellissima col pallone di mezzo, perfettamente organizzata eppure libera, senza pretese, come nella canzone di Vinicio Capossela. E poi si sta parecchio bene anche perché qui non c’è una cosa bruttissima del luogo dove vivo, il razzismo, che è cattivo e sta molto da me, su al Nord. Si può farlo scomparire e non è difficile, basta incontrarsi e parlarsi, serve un pretesto fighissimo, lo sport, per tutti.
Matteo Bonfanti