Ci sono giorni che mi pare di essere al mondo per scoprire l’acqua calda. Mi capita tanto anche perché mi immedesimo un sacco in quello che vedo alla televisione, sul telefono o sul computer.
Inizio col calcio, il mio lavoro. Intorno alle quattro e un quarto del pomeriggio mi arriva la prima illuminazione quotidiana in una redazione silenziosissima perché immersa nel giornale da fare. Penso: “Ma se io fossi un calciatore del Verona, il più bravino di tutti, poniamo Zaccagni, e tenessi da sempre fortissimamente al Milan, convinto da bambino da un babbo che mi portava mano nella mano sul secondo anello di San Siro e che faceva dei sacrifici enormi per comperare i nostri due biglietti, adesso, dico in questo attimo che ci sto giocando contro e per loro è così importante, che ci sono in ballo lo scudetto e la Champions, mentre per noi non cambia se vinciamo o se perdiamo, cosa farei? Un autogol per far felice mio papà e anche io che ho questa folle passione (perché questo è essere tifosi)? Mi verrebbe da impegnarmi meno? Farei un po’ come nella canzone Let it be?”.
Alle nove di sera sono nello stesso viaggio giornaliero, identico, quello di un uomo che si esalta pensando di avere scoperto per primo che l’acqua calda sulla faccia è molto meglio rispetto a infilare un braccio e una gamba a inizio marzo in una fontana al freddo e al gelo, magari al pratone degli Spiazzi di Gromo. Sto correggendo le pagine del giornale mentre una cantante bravissimissima fa il suo concerto in streaming. E sono tutte cover e io ho quella cosa addosso, i pensieri minimi di un mondo normale, e allora ripeto tra me e me le mie riflessioni da saputello: “Voce meravigliosa, fenomenale, ma se ci penso, è come se io adesso mi mettessi a riscrivere un articolo di Gianni Mura, aggiungendo un pochino del mio, per carità, giusto quattro parole nuove, ma tenendo tutto il suo. Che minchia di senso avrebbe? E’ la sua musica… Che le persone leggano lui che le frasi le ha sentite davvero dentro e sono vere. E che io mi metta seriamente da oggi a decidere quali sono le mie, anche spaccandomi la testa per giorni interi se mi serve per trovarle, ma che ci arrivi e siano mie, mie, mie, del mio stomaco oppure del mio universo, o, ancora, della mia anima o di come mi sta battendo adesso il cuore”.
Il terzo episodio della mia domenica di domande ovvie, ma senza risposta alcuna, sta su quello che sta accadendo già da ventitre minuti, oggi che è l’Otto Marzo, il giorno più importante di tutti perché è quello in cui si celebra la festa delle donne, ossia le nostre nonne, le nostre mamme, le nostre compagne, le nostre amiche e le nostre figlie. E anche in questo caso il mio quesito è semplice semplice, uguale a quello riservato a Zaccagni, il giocatore del Verona, o all’interprete di canzoni degli anni Cinquanta che prima era in diretta su Facebook. Va beh, ve lo dico: “Ma perché se le femmine sono la vicenda più figa che ci può succedere, noi uomini siamo perennemente a smarronarle, a tormentarle, qualche volta a tagliuzzarle, spesso addirittura ad accopparle? Non sarebbe più logico volergli bene, comperare loro dei fiori, dargli dei baci e milioni di carezze sul sedere, sulle gambe e sulla schiena anche quando dormono?”.
E così ho deciso di mettermi sul serio. Da domani proverò a cambiare il mondo. Innanzitutto cercherò il numero di telefono di Zaccagni, che da quel che so è tifoso del Milan, supplicandolo di cambiare squadra per migliorarla a lui e a suo papà. Poi intervisterò la grande musicista che passa la vita a cantare i pensieri degli altri e le scriverò una canzone fatta di fresco, su misura, regalandogliela perché comunque sarà sua, con ogni frase che mi avrà detto. Quindi porterò un sacco di mimose alla donna che amo, almeno un chilo e mezzo tutto intorno, coprendola di dieci etti di abbracci e di almeno un quintale di bacetti sul collo, che sono stupendi perché mettono un botto di brividini fin dentro alla pancia.
Matteo Bonfanti