Salivo su quei gradoni e mi batteva forte il cuore, ancor più di adesso.
Lo ricordo bene.
Stringevo la grande mano di mio papà, ed ogni domenica, sembrava fosse la prima volta.
Se chiudo gli occhi mi sembra di sentire ancora, seduto in curva sud, il sole sulla guancia sinistra che mi scalda oltremodo, prima di nascondersi dietro la Roncola.
Vedo ancora papà che, col giornale Nerazzurro, costruiva con l’arte degli origami cappelli posticci, per sfuggire dall’insolazione.
Sento anche la pioggia incessante cadere sull’ombrello diviso con papà, e poi come una cascata a bagnare il braccio destro mio e il sinistro suo.
Vedo l’erba verde e il cielo blu abbagliarmi di quella speranza di vittoria, mista a fiducia incondizionata, che precedeva sempre la gara.
Sento l’aria fredda della Maresana raggiungere i miei occhi che sembravano ghiacciarsi, e riesco ancora a percepire il mio fiato caldo, nascosto dentro la sciarpa dell’Atalanta.
Sento le gambe fredde nonostante il pigiama sotto i jeans, e la mano sempre incredibilmente calda del papà, che tenta inutilmente di scaldarmele.
Sento la stessa delusione di oggi dopo un gol preso, e la voce di papà che mi sussurra guardandomi dritto negli occhi: “vedrai che vinciamo lo stesso”.
Eh sì.
Io e papà insieme allo stadio da più di 35 anni.
E abbiamo sempre vinto lo stesso.
Insieme.
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