Mi sveglio alle 9.30 con il suono fastidioso della sveglia che mi ricorda di dover ancora finire i compiti, e la prima cosa a cui penso è che oggi è giovedì, e questo significa un’unica cosa: la magica Dea gioca per qualificarsi ai gironi d’Europa Leage. Verso le 18 il papà attua il suo solito pre-partita che, come sempre, consiste in un bicchiere di birra fresca e un paio di grissini per riempire quel vuoto nello stomaco che purtroppo si scopre essere causato non dalla fame, ma dalla tensione. Le 18.30 arrivano presto, e il primo tempo si dimostra essere a nostro favore, con qualche, anzi, troppe, occasioni sprecate da parte nostra. Nel secondo tempo invece scende in campo un altro Copenhagen che ci mette un po’ di pressione, ma riusciamo comunque a gestirlo. Finiscono i primi 90 minuti, durante i quali io e il mio papà mettiamo in atto ogni tipo di scaramanzia: io che provo a mettermi a testa in giù, lui che cambia posizione sul divano, noi che spostiamo i cuscini da una parte all’altra, addirittura io che mi alzo e non guardo la partita perché magari sono io che blocco i ragazzi dal segnare anche un solo gol che ci regalerebbe la qualificazione ai gironi. Purtroppo niente di tutto ciò funziona, infatti arriva il primo tempo supplementare nel quale non mancano di certo delle buone occasioni, ma non arriva il tanto sospirato gol. Finisce anche questo, e durante il secondo esco addirittura di casa, sto in giardino e cerco si pensare ad altro, anche se si rivela una missione impossibile. Infatti rientro in casa, vado sul divano e guardo il cronometro: i minuti passano troppo velocemente, il tempo scorre come vorrei che scorresse durante le ore di matematica a scuola, e questo maledetto gol non arriva. Inizio a prendere sul serio l’idea che dovremo affrontare gli avversari ai rigori, con 22 giocatori esausti, perché dopo 210 minuti di pura battaglia, è l’aggettivo che più li caratterizza in questo momento. Infatti l’arbitro fischia, e i calci di rigore iniziano. Allora chiamo mia sorella, che stava mangiando, per farmi compagnia, e ad ogni nostro gol esultiamo, finché non arriva il Papu… Preoccupate ma anche fiduciose, guardiamo speranzose il suo calcio di rigore, che, o per sfortuna, o per tensione e stanchezza, finisce sulla traversa. Io e mia sorella, stupite, aspettiamo che qualche avversario sbagli, e quindi esultiamo. Ma la nostra felicità non dura molto, perché sbagliamo anche l’ultimo rigore. Ed è finita. La qualificazione è loro, la vediamo svanire davanti ai nostri occhi, per così poco, un gol. Venire eliminati ai rigori è una grandissima sofferenza, più che delusione, perché rimanere delusi da una squadra che ha giocato così per 210 minuti, non è da atalantini. Essere delusi perché hanno sbagliato due rigori è ragionevole, certo, ma ricordiamoci che il rigore lo sbaglia chi ha il coraggio di andare a calciarlo. Quindi sì, sono fiera della mia Dea, che ancora una volta ne esce a testa alta e, come ha detto il mio papà prima di andare a dormire, “stai tranquilla, ci rifaremo”.

Anna Arsuffi