di Simone Fornoni
Il Tanque apre le danze, il Frasquito le chiude. O quasi, perché Leto ha provato a rovinare la festa e l’ennesimo Boateng, fortunatamente quello sbagliato, non ha azzeccato il pari a un passo dalla porta. Pazienza, perché a dispetto delle sofferenze assortite e del gioco che latita i due lampi nella nebbia sono bastati. E nel calcio, si sa, conta solo buttarla dentro. Parlare di Atalanta da tango è d’obbligo, vista l’origine anagrafica della manna dal cielo di turno. Scesa provvidenzialmente a squarciare la fitta caligine di un match sul filo di lana della strizza, e il termine non rende bene l’idea se non si è assistito al desolante avvio del primo tempo.
Finché i riflettori non hanno fatto capolino, il sole sugli undici nerazzurri in campo s’è regolarmente rifiutato di splendere. Ha ragione il mai troppo filosofo Stefano Colantuono, quando ricorda agli osservatori in vena di preziosismi ipercritici che a Bergamo non c’è nessun Barcellona all’orizzonte e che le vittorie, anche contro le concorrenti dirette per rimanere avvinghiati al pianerottolo, mancando l’intero girone di ritorno da disputare non risolvono granché. Soprattutto se la calma dei forti appare smarrita per strada. Mai profezia della vigilia fu più centrata: per almeno un tempo, manovra involuta e reparti sconnessi l’uno con l’altro. Contro la cenerentola del campionato, mica una big dai tempi di reazione e d’esecuzione che trascendono la velocità del suono. E così basta il movimentismo di Barrientos per mettere alle corde una difesa raccogliticcia (benino Lucchini: con lui dentro, 17 punti sui 21 totali), poco aiutata da un Migliaccio tornato con suo grande sollievo in mezzo ma timidino nello spazzar via, senza contare quel buco alla mezzora in concorso con Stendardo costato lo spavento più grande all’esordiente Sportiello. Il portierone cresciuto all’ombra del guru Mino Favini, del resto, è riuscito a strappare applausi a scena aperta anche solo grazie alle sue impettite uscite in presa alta su almeno metà della decina secca (!) di corner avversari: la sua divisa verde smeraldo, in nuance col terreno del vecchio “Comunale”, spicca nei mucchi selvaggi in area al pari della sua sicurezza, strabiliante per un classe ’92 che finora aveva vissuto sotto i cieli al massimo della terza serie smaniando per il ritorno alla base.
Ma con un Cigarini poco Professore e le geometrie rimaste in canna almeno per metà partita, solo il risveglio dell’animus pugnandi collettivo e la sterzata decisiva dalle corsie potevano risolvere il pasticciaccio brutto di una via crucis di stenti incanalata verso un pari inaccettabile. E a cavare il coniglio dal cilindro, a ben vedere, è stata la spintarella sull’acceleratore del duo rioplatense, che non poteva non coinvolgere anche Bonaventura nelle scorribande dell’assedio. Detto, fatto: Denis trova le sponde giuste e le maglie larghe nella difesa altrui, Moralez la linea di fondo, Jack l’asso pigliatutto del rigoricchio per sbloccare l’impasse. La chiusura grossolana e ingenua dell’ex canterano di casa Biraghi ha fatto il resto, regalando il settimo sigillo all’ultrà del Talleres de Remedios de Escalada, glaciale come un panzer dal dischetto. E sapiente nei rientri verso il cerchio di metà campo per appoggiare le ripartenze, vedi lo slalom meraviglioso della bottiglietta da calcio champagne concluso da una delizia nel saccoccio. Sia ben chiaro, perché la salvezza sia davvero questione di ordinaria amministrazione non basterà svegliarsi solo al rientro dal tunnel, quando un nemico fragile fragile s’è sciolto nel bel mezzo delle brume di latitudini ostili. Col Cagliari, dopo la parentesi di coppa a Fuorigrotta (mercoledì sera), altro giro e altra corsa. E stavolta niente emergenza, perché Raimondi rientra dalla squalifica giusto in tempo per coprire il buco del convincente Benalouane, finito dietro la lavagna del giudice sportivo per la foga nel voler digerire Plasil. L’importante, oltre il giro di boa, sarà liberarsi dal mal di pancia delle paure ingiustificate.