Come l’Atalanta oggi, così come il Milan l’altro ieri in casa col Liverpool, così come ogni persona, le donne e gli uomini come me, che ci pensano e la capiscono quell’attimino tardi. Nel calcio servirebbero più dei fatidici novanta minuti più recupero, almeno il doppio e oggi i miei due grandi amori del pallone sarebbero a giocarsi meritatamente gli ottavi di Champions, la Dea col Villareal avrebbe vinto 7-3, il Diavolo avrebbe battuto i Reds 4-2. Invece c’è il tempo segnato, l’esatto contrario che nella palla strada giocata dai sette ai dodici anni, insomma da bambino, ogni volta col gran finale del chi segna ha vinto dopo un pomeriggio passato a sbucciarsi le ginocchia nella via. Lì chi vince è sacrosanto. Si finisce quando tutti si è sfiniti.
Invece l’ora e mezza del grande calcio non è così onesta, non dà veramente il senso, è troppo predestinata, si completa quando il fischietto vuole andarsene a casa da sua moglie e dai suoi figli, ed è parziale, è uno, non tutti. E paiono le regole sfigate della casa del Sidro. Va beh, va detto, che sono poi i dettami della vita, che ha il pallone come esempio ultimo ed estremo.
Mi dici “ti ho aspettato tanto e così a lungo, ma tu non mi hai risposto mai”, ti dico “pensavo fossimo speciali, che tra noi ci fossero almeno i supplementari, la rete allo scadere, al 120°, o almeno il golden gol”. Ma non c’è. C’era, forse, ma quando ci siamo conosciuti, tanti anni fa, l’inizio del secolo, bimbetti, e Francesco Totti, che amo, all’ora aveva i capelli uguali ai miei e dominava in ogni dove, persino in campo contro l’intera Francia. Poi c’è stato Trezeguet, “la beffa”, e tutto si è fermato in una foto. E da lì è cambiata, non c’è altro, né per gli azzurri, né per il Milan, né per l’Atalanta, né per me, né per te.
E’ così, ma almeno, amore mio, ci fosse un recupero onesto, dico quello di un arbitro italiano, tipo Mazzoleni, che alla giustizia ci crede, potremmo almeno tentare di ribaltarla in extremis. Ma anche nel migliore dei modi sono solo sette minuti zeppi di cambi, senza manco giocarceli più che di là perdono tempo infilando raffiche di ragazzini.
E allora, amore mio, vai, al triplice fischio, senza voltarti indietro. E non pensare alla nostra partita e manco alle mille sponde che hai tra i miei. Anche in amore c’è l’Europa League, che è importante e che salva la stagione. E mi ci metterò per non sentirmi un fallito quando ti vedrò accanto a lui, la tua Champions League.
Matteo Bonfanti