Dalle stalle del rodaggio iniziale alle stelle attuali, tendenti a trasmigrare nel firmamento altrui. Dall’incipit autunnale a rischio di fuga di Gasp, col Palermo a calare la quarta mannaia nelle prime cinque giornate, al profumo d’Europa affiorante alle narici di un pubblico ambiziosetto. Figurarsi se Antonio Percassi non fiutava gli affaroni. C’è uno stadio da comprare, il bando è lì pronto, e da rifare a metà per vivificare i sogni di grandeur. Ci sono i bilanci da programmare senza depauperarsi di risorse tecniche tutte e subito, sostituendole gradualmente. Ci vogliono i dindi e l’Atalanta se li è già guadagnati al mercato di riparazione. Con un Gagliardini di meno e un Caldara promesso juventino.

Le certezze del campo e una zona nevralgica piuttosto affollata, a onta forse della necessità di trovare un rimpiazzo anche a quell’Alberto Grassi ormai fatto annusare all’Empoli, hanno autorizzato l’apertura ai conciliaboli quattrinai. Mica era facile, in tre mesetti e mezzo, percorrere il cammino dalla paura che fa novanta fino al cash sicuro che a oggi ammonta a cinquanta. Spalmabili nel tempo e garantiti dalle cessioni illustri di un gennaio afflitto dalla sindrome del giocattolo smontato. E l’umore se non nero almeno bigiognolo serpeggia tra i nostalgici dell’era Ruggeri, quando al capo si rimproverava il braccino al motto di “tanto entra, tanto esce”. Facilmente sovrapponibili coi criticoni dell’estate, la roncola del ve l’avevo detto a minacciare la linea verde salvo riporla nell’armadietto già a novembre.

C’è davvero di mezzo il mare, tra il cammino da retrocessione allo start e il giro di boa da asticella alzata. All’orizzonte, le imprescindibili operazioni per programmare il futuro monetizzando il presente. In ingresso, fin qui, i “parcheggiati” del Perugia, il difensore Gianluca Mancini (’96) e l’esterno Nicolò Fazzi (’95, giugno 2018), più Pierluigi Gollini, ’95, portiere dell’Under 21 in prestito biennale dall’Aston Villa, il tappabuchi ideale se la Lazio alzerà la posta per Berisha. Se ne sono andati anche gli scontenti, Stendardo al Pescara, Pinilla al Genoa con obbligo di riscatto e Sportiello in Viola fino al 2018 a due milioni più sei per il cartellino. Ci si è alleggeriti anche dello stipendio di Davide Bassi, che ha rescisso in settimana. Dei due gioielli forgiati nell’oreficeria di Zingonia e sacrificati sull’altare dei conti della serva ne rimane acquartierato uno, ma che il cordone ombelicale non si stacchi a breve o a medio termine anche agli altri poppanti della covata d’oro è una pia illusione. A prescindere dai messaggi cifrati via etere dei vari procuratori per stanare compratori reali o potenziali, tra i futuribili prontissimi all’uso ce n’è almeno uno per reparto. Partendo dalla fascia, il furoreggiante Andrea Conti, ’94 della Bonacina di Lecco che sulla destra non teme concorrenza per verve, capacità di guadagnare il fondo per mollare l’assist e di tagliare per concludere (Sassuolo, Chievo). Una decina secca oggi la vale, fra cinque mesi chissà. Triplichiamo il valore per il collettivo e quindi anche il prezzo al consumo per Franck Kessie, ventenne solo dal 20 dicembre, adulto e smagato a sufficienza per schiaffarne sei di cui due decisivi dal dischetto (Torino, Roma) da interno di corsa e spola, ottenere il penalty decisivo con l’Inter e ribaltare da solo, da cambio (di Kurtic, uno dei tanti dalla quotazione raddoppiata), il sofferto prenatalizio con l’Empoli grazie a slalom con gol e palla dentro per il tap-in di D’Alessandro. Manco a dirlo, l’altro piatto forte di un organico rivalutatosi da cima a fondo è quell’ariete dal sangue d’arte alabardato (nonno Francesco capitano, papà Euro diesse nella rifondazione del 2012) nelle vene, Andrea Petagna, ’95 rubacchiato al Milan per un tozzo di pane, che ha il settebello cadetto in maglia Ascoli come massimo score da professionista e deve implementare i quattro atalantini per ascendere le vette di una carriera promettentissima. Adatta a uno che porta via un paio di marcatori a botta, chiede e ottiene il dai e vai, lotta come un mulo da triestino verace e spesso funge da regista effettivo di un attacco che proietta all’assalto pure gli interni. Tra i quali, a parte l’Alberto della Val Gobbia, l’aficionado della caccia a capanno che deve rispolverare le spingardate di rapina dei tempi da baby, si segnala il playmaker più regolare e puntuale di un cucù svizzero, Remo Freuler, un quarto di secolo d’età per pennellate da fermo (leggi: corner) e assist in movimento al bacio. Il Papu Gomez, se si vuole incassare dagli altri, non è sacrificabile. Per lui un progetto a vita non guasterebbe. Da chioccia del poker di ragazzi del ’99 che presto o tardi finiranno in prima squadra da pedine inamovibili: dalla difesa all’attacco, Alessandro Bastoni, Filippo Melegoni, Emmanuel Latte Lath (il gol alla Juve in coppa è una perla) e Christian Capone. Plusvalenze garantite entro il triennio, a meno che in panchina e dietro la scrivania non tornino esponenti della banda dell’usato sicuro.

Simone Fornoni