“Se segno bene, altrimenti pace. L’importante è dare la palla a German o a chi s’inserisce, per creare occasioni”. La dichiarazione è quella del day after vittorioso, la verità che vi traspare un dogma senza tempo. In effetti, tra virtuosistici giri di trottola e inneschi di miccia tra le linee, l’assioma in punta di lingua di Maximiliano Moralez spreme dalla nuda attualità il succo dell’Atalanta: la formula magica in grado di dare fuoco alle polveri è quella cucita come un rassicurante cappottone sulle possenti sembianze del bulldozer piazzato là davanti.
Il gioco di raccordo e di ricerca della profondità, per sé ma soprattutto per chi ce l’ha nelle vene insieme a qualità balistiche più spiccate, non a caso fa del fantasista tascabile l’asola del bottone in fondo all’abito del couturier Colantuono. Tagliato apposta per il Tanque, ma con larga concessione di libertà all’altro pezzo forte dell’atelier a strisce neroblù: “Non vivo per il gol e non so se quello in contropiede di domenica scorsa sia stato il più bello nel triennio a Bergamo, certamente ha risolto una partita bruttina ma importante perché ci consente il giro di boa a ventuno punti”, si schermisce lui. Centosessanta centimetri di tecnica lussureggiante e voglia di stilare classifiche interne con uno sguardo al passato: “Se devo sceglierne uno, dico quello al Chievo nel mio primo campionato qui: mancavano cinque giornate alla fine e in pratica quella parabola da fuori area volle dire salvezza”. L’amarcord datato 24 aprile 2012 è un’immagine giocoforza vivida negli occhietti d’ebano del Frasquito, detto anche Enano per via delle misure da negozio 0-12, aletta o mezzapunta fin qui da decina piena e non oltre. Il palmares baciato dal sole a intermittenza della Maresana parla di doppiette a Genoa (2-2) e Parma (vittoria per 2-1) più gol a Palermo (ko per 2-1 alla “Favorita”), Chievo (1-0, appunto) e Gubbio (3-4 in Coppa Italia) nella stagione d’esordio, l’unica gioia personale dell’illusorio vantaggio di Catania in quella passata, e il tris piuttosto azzeccato di quella corrente: tre punti d’oro a Verona per tarpare le orecchie ai Mussi Volanti (un vezzo), temporaneo pari interno con Madama la capolista e infine il devastante slalom del raddoppio nel match della verità di domenica 12 gennaio. Un resoconto che trova la chiosa ideale nella riprova della corrispondenza d’amorosi sensi con l’ambiente: “La mia prospettiva è restare finché ce ne sarà la possibilità, per poi chiudere la carriera in argentina”.
Tra la Bottiglietta e il Carrarmato, dunque, intesa perfetta – anche fuori dal campo, dove santefesino e bonaerense sono compagni di tempo libero, bowling e scorpacciate a base di asado – per una Dea che più da tango non si può. Al di là della carne cucinata al modo dei rioplatensi, o dell’altrettanto gradita  pietanza dei complimenti per certi traversoni al bacio come quello per l’incornata del bomberone nell’1-1 contro l’Inter, c’è da masticare il pane duro da realpolitiker del pallone: “La priorità è pensare a salvarci, l’essere reduci da un’affermazione senza aver offerto del bel calcio contro una squadra molto fisica è comunque un buon viatico. Il Cagliari ha gli stessi nostri punti, noi scendiamo in campo sempre per vincere: dovrà essere così da qui alla trentottesima, con il bene dell’Atalanta e non dei singoli nel mirino”. Guai a dirsi “bravo” allo specchio, in parole povere. Tra lo striminzito successo scacciacrisi sul Catania e la nuova prova del nove in chiave salvezza contro il Cagliari, del resto, non è che l’esaltazione delle individualità possa rischiare di andare a discapito degli equilibri un po’ precari dell’Atalantina vista nell’ultimo periodo (solo due punti su diciotto nelle sei partite antecedenti la sfida ai rossoazzurri): “Metterla dentro non è il mio compito principale, anche se naturalmente fa parte del mio mestiere. All’occorrenza, il tiro secco e preciso ce l’ho e lo uso. Però preferisco mandare in porta i compagni. E pensare, come ha insegnato il Sassuolo battendo il Milan, che a volte il piccolo può battere il grande”. Detto da un Maxi ai minimi termini solo nelle dimensioni del guardaroba, c’è da credergli.
Simone Fornoni