Della serie, quando Maxi non basta, perché la somma delle piccolezze ti costringe a offrirti sull’altare di una big come agnello sacrificale. Concedi il possesso (45 a 55%) ma occupi assiduamente la metà campo altrui palla al piede (chiamasi vantaggio territoriale, 65-35), eppure le prendi uguale. Con la Roma, all’Atalanta, è andata proprio così. Fermi al palo – pardon, alla traversa – con Baselli dopo un avvio sprint e due gentili regalucci costati altrettanti gol sul groppone, senza contare il 2-2 fallito nella ripresa dal migliore in campo, i nerazzurri hanno convinto il pubblico tornando però a inguaiarsi in classifica.
Dubbi e domande fioccano inquietanti dal cielo plumbeo della delusione. Si veniva da tre pareggini e da molte critiche sopra le righe, cui Stefano Colantuono ha risposto proponendo una squadra volitiva, a dispetto dell’unico tiro nello specchio sui sette totali. E insomma, cominci a giocare senza voler subire, ed ecco un rigurgito di minicrisi perché nel muro delle certezze si aprono le falle degli erroricchi individuali. Forse aveva ragione il Cola versione sparagnina. Quello che si asserraglia addossando la mediana alla difesa o bloccando le corsie e tanti saluti allo spettacolo, a prescindere dalle cervellotiche alchimie di modulo e uomini. Siamo alla dodicesima formazione diversa su dodici giornate, roba da guinness dei primati. L’avvio pareva la sublimazione della rinascita, dell’astuzia e della ritrovata freschezza non già di un reparto offensivo spuntatissimo, bensì di Moralez e basta. Prova ne siano il killer instinct nel trasformare in oro la vangata di prato con assist dal fondo del settepolmoni Raimondi e la capacità di attaccarsi a mo’ di mignatta al portatore di palla, mettendoci una malizia insospettabile per uno di un metro e sessanta. Il problema più grosso sono stati i due nel vivo della manovra: Baselli nelle folate in area è propositivo finché si vuole, ma non può sperare di togliere la cattedra al Professore Cigarini, se anziché piazzarla di giustezza per il possibile raddoppio sul flipper Dramé-De Sanctis (che gliela serve sul piattino) preferisce andare di fino sganciando la volée di potenza che quasi distruggeva il montante. Il ragazzo di Gottolengo, poi, in copertura va spesso in bambola, vedi pressione di Nainggolan che fa le prove generali del gol innescando la ripartenza del tentativo fallito di Pjanic.
Detto della prova con più luci che ombre di Gomez, bravo soprattutto ad accompagnare le sovrapposizioni del corsaiolo Dramé, c’è da dire che dalla cinta in su i mostri sacri giallorossi erano e sono troppo per i nostri, vedi combinazione partita dai piedi del belga crestato e finalizzata dal pari di Ljajic, scappato una volta di più a Bellini. Il figlio del dottore di Sarnech non ha più l’età per tenere testa a certi razzi dagli scarpini educatissimi, figuriamoci se deve anche pescare la medicina dal fondo del borsone per guarire i mali grandi e piccoli di un undici alla ricerca dell’identità perduta. Si giochicchia benino e ciò acuisce il rimpianto per un punto che sarebbe stato prezioso quanto meritato. E che moccoli per l’imperdonabile leggerezza di Carmona: fin lì the best o poco meno, si fa strappare la sfera da Nainggolan che poi va a chiudere la triangolazione della vittoria in remuntada con l’autore del pari. E buonanotte, perché nella ripresa succede poco – Stendardo sbuca in area piccola su piazzato del secondo nano argentino di turno – e si mangia un gol assurdo anche il Frasquito, incapace di mettere il cappello al sombrero-assist da fucilazione di Capitan Lezioso De Rossi. Il Cola non sa o non vuole cambiare in corsa (Bianchi e Boakye per Gomez e lo spettro di Denis solo a metà ripresa, al lordo del recupero), anche se la ribalta al gioiellino Grassi strappa giustamente più d’un applauso, ma il 4-2-4 d’assalto figlio delle variazioni al copione non approda a nulla. Con l’Empoli e la succursale dei rotti & ripudiati chiamata Cesena, un gioco più aperto dovrebbe portare sei punti filati, sempre che l’uomo in sella non opti per un ritorno al catenaccio ammirato nel tris Napoli-Toro-Sassuolo. Allora sì che ci sarebbe da tempestarsi di interrogativi.
Simone Fornoni