Beccarle in contropiede dal Napoli, anche in superiorità numerica, dopo aver messo una pezza di lusso alla fast da pallavolista provetto di de Roon (con penalty da brivido di Hamsik) grazie alla magia argentina Maxi-Tanque-Papu in un fazzoletto, è il colmo dei colmi. Al primissimo errore madornale di un tulipano reciso dalla fatica di dover sempre rincorrere palloni (5 recuperati sui 40 persi dai Ciucci), l’Atalanta ha saputo reagire subito per poi ricadere nei difetti atavici, tra cui girare troppo al largo (34 cross a 10, vantaggio territoriale nettissimo ma 47 per cento a 53 di possesso: ovvero, il nemico l’ha spuntata sulle ripartenze) mostrando crepe su palla inattiva e in ripiegamento: perfetta ma in mezzo alle belle statuine la parabola dalla bandierina di Jorginho per il cabezazo di Higuain, euclideo ma con le praterie spalancate il lancio di Hamsik (bi-rigorista imperfetto) per il sigillo dell’ex madridista.
Morale della favola, come al solito evaporata sul più bello (vedi pasticci di Verona a Santa Lucia), è bastato un Pipita d’oro a sfiocchettare il pacco regalo che i tifosi nerazzurri già pregustavano sotto l’albero. Aggiungendo il carbone nella calza della Befana, quando i mancati eroi della domenica prenatalizia dovranno rammendarla alla ripresa delle ostilità davanti alle pupille iniettate di sangue del grande ex Colantuono. Non resta che chiudere degnamente un girone d’andata comunque coi controfiocchi: 24 punti, classifica a metà del guado (nona posizione), 5 vittorie su 7 a Bergamo, dove sono stati ceduti punti solo all’Hellas (1-1), al Toro e allo stesso Napoli (entrambi vincitori), colpacci a Empoli e a Roma, parità sul 19 nel saldo reti in 17 turni che significa difesa buona (a parte le ingenuità e i rossi: Paletta, al secondo personale, stendendo Mertens ha portato il totale a dieci) e attacco un po’ asfittico. Gioie e dolori di una squadra che accantonando frettolosi sogni di grandeur può gestire tranquillamente il traguardo di un buon campionato al riparo da pericoli, essendo a più 10 sulla terzultima.
Tra l’Udinese e il Genoa, smaltite le sbornie festaiole, la sensazione è che ben difficilmente si raccoglierà chissà quale bottino, alla luce delle pecche puntualmente riemerse in una situazione di media difficoltà. Due fuori per squalifica (Cherubin, da suicidio contro il Chievo con quella testata assassina a Paloschi dopo essere stato protagonista solo la settimana prima con il Palermo, e il deludente ma pur sempre corsaiolo Kurtic), un po’ di più per infortuni anche gravi (Pinilla, Carmona out praticamente per la stagione, un Dramé il cui sprint manca come l’aria), un centravanti avversario in grado di smarcarsi da solo in un nanosecondo e il patatrac è dietro l’angolo. Evitabile, visto che concedere un dito a chi ha la tecnica per prendersi tutti e quattro gli arti non è il massimo, e al contempo ineludibile, quando in casa ci sono una prima punta in grado di sfornare solo sponde e un ex trequartista che sverna a destra (Moralez) con molti gol mangiati all’attivo mentre di là c’è un tipetto che dopo averne cannati un paio ne infila altrettanti senza una piega. In compenso il Papu Gomez continua a stragiocare (Sarri gli ha regolarmente aizzato contro mezza difesa) e ha raggiunto la cinquina, notevole per un peso piuma che parte dalla riga laterale. In attesa che rientri PiniGol (a quota tre come Denis, però) e a Monachello (se rimarrà) venga addizionato il ricercatissimo Marcello Trotta dell’Avellino, il settimo ko della serie ha impartito la lezioncina di fine anno: quando non si hanno fenomeni, meglio tirare avanti alla giornata, vivendo dei lampi dei singoli e soprattutto accontentandosi di quello che viene. Finora Edy Reja ha fatto quadrare i conti. La zona coppe? Svegliando il futuro prima del tempo, ammoniva Franz Kafka, si ottiene un presente assonnato. E poi hai voglia a fantasticare a occhi aperti.
Simone Fornoni