Per il quindicesimo appuntamento di “Attenti a quei due”, due difensori dal pedigree inappuntabile rivivono la loro personalissima epopea, sbocciata in concomitanza con una bellissima amicizia che ancora oggi, nonostante il Covid-19 e nonostante la distanza geografica, tiene banco. David Masoni e Manuel Pedretti, dall’alto di otto anni di coabitazione e di un percorso calcistico non così dissimile, almeno per quanto concerne la prima parte di carriera, sono – e resteranno sempre – parte di quel piccolo grande miracolo che è stato il Lemine, antesignano dell’odierno Lemine Almenno, nonché protagonista di una parabola che ha mietuto successi e consensi, in termini umani oltre che tecnici. Capisaldi di un progetto tecnico che non poteva prescindere dal presidente Innocenti e dal diggì Piero Pellegrinelli (oggi Presidente del Lemine Almenno, n.d.r.), unitamente a svariate figure che ancora oggi promuovono al “Fratelli Pedretti” un calcio a misura di bambino e ragazzo, entrambi sono a tutti gli effetti i “canterani”, per eccellenza, di quella società. Vissuta la loro personalissima trafila nel vivaio almennese, “Pibe” e “Pedro” sono sbarcati, pur in maniera differita, in prima squadra, con lo stesso entusiasmo e la stessa determinazione, rappresentando le colonne di uno spogliatoio che, in quegli anni, ha trovato nel senso di appartenenza un reale valore aggiunto, nonché una molla per coltivare ambizioni e obiettivi. I successi, a partire dalla vittoria di un campionato di Prima, con un Pedretti giovanissimo eppur già decisivo con il gol-scudetto, ne sono diventati la logica conseguenza. Ma quel che più preme evidenziare, forse, è che, al di là delle note più liete, quello spogliatoio e le amicizie coltivate in seno ad esso ressero eccome anche dinanzi ai tonfi e alle battute d’arresto più stucchevoli. “Pibe” e “Pedro” sono ancora oggi amici per la pelle, condividendo, oltre alla più pura passione sportiva, che si snoda anche tra le alte vette delle montane bergamasche, un’affinità elettiva che premia, primariamente, due uomini veri, abili a dar sfoggio, sempre e comunque, di sorriso e determinazione.
Nome, Cognome, Soprannome.
D.M.: “David Masoni. “Pibe””.
M.P.: “Manuel Pedretti, “Pedro””.
Professione.
D.M.: “Impiegato”.
M.P.: “Operaio, settore elettrico”.
Incarico nel dilettantismo.
D.M.: “Calcio a 7, a Pontegiurino”.
M.P.: “Difensore mancino oggi alla Settalese”.
Pronostico secco: quando torneremo in campo?
D.M.: “Mmm…penso a settembre”.
M.P.: “Prego per settembre. E prega anche mia moglie perché non mi sopporta più (e giù risate, n.d.r.)”.
Il tuo sportivo preferito.
D.M.: “Paolo Maldini. Un esempio di vita. Sono cresciuto ammirando le sue gesta e si sta dimostrando anche un buon dirigente”.
M.P.: “Bobo Vieri, da sempre e per sempre. Da interista, l’idolo indiscusso, per distacco. E per tutto. Ad oggi, ha una famiglia bellissima ed è ancora amato da tante persone. Ecco, se rinasco vorrei rinascere Vieri (e ride furbescamente, n.d.r.)”.
Squadra del cuore. Da sempre?
D.M.: “Milan! Da piccolo, Maldini, Baresi e gli olandesi mi hanno rapito”.
M.P.: “Inter, fin da bambino”.
La vittoria (o la partita) che ricordi più volentieri.
D.M.: “La finale dei Mondiali 2006. Che festa! Che casino….andare a Bergamo sul cassone di un camioncino a festeggiare!!!”.
M.P.: “La finale di Champions del Triplete, impossibile da dimenticare! Se riguardo le immagini, mi vengono ancora i brividi”.
E tra i dilettanti? Raccontaci la tua carriera.
D.M.: “È lunga, potrei scrivere un libro sulla mia carriera al Lemine, dalla Scuola Calcio ai 30 anni, tra dirigenti, allenatori e compagni. Quanti ricordi! Sono cresciuto calcisticamente tra Prima categoria e Promozione, poi decido di lasciare l’ovile per un anno piuttosto disastroso in Prima ad Almè. Poi, uno molto più avvincente a Bonate Sotto, sfiorando la vittoria del campionato. Ora, da sei anni gioco a Pontegiurino, calcio a 7: anni conditi da importanti vittorie in ambito di CSI. Qui la piazza è calda e mi diverto un sacco!”.
M.P.: “Spero che la mia carriera non si fermi con il Covid. Sono cresciuto nel Lemine, dai Pulcini alla prima squadra, dove ho giocato per otto anni vincendo un campionato, una finale playoff di Prima, ma assaggiando anche la retrocessione, dopo una sconfitta ai playout. Poi tre anni a Brembate Sopra, dove ho vinto il campionato di Promozione, giocando poi due anni in Eccellenza. Dopo aver conosciuto mia moglie, mi sono trasferito nel Milanese e ho iniziato a girare. Tritium, con la vittoria in Prima; Luisiana, in Eccellenza; Romanengo, in Promozione; Inzago e Rivoltana, in Prima, fino alla Settalese, in Promozione”.
Qual è il ricordo più bello della tua carriera? E il più brutto?
D.M.: “Il più bello è sicuramente la conquista della storica Promozione con il Lemine, stagione 2006-2007. Una squadra fenomenale! Il più brutto, la sconfitta nei playout a Brusaporto, sempre con la casacca gialloverde. Dopo aver vinto 3-1 all’andata!!!”.
M.P.: “Il ricordo più bello è la vittoria del primo campionato con il Lemine, a 18 anni. Gol-vittoria all’ultima giornata a Lecco e festa grande in paese. Ritornammo da Lecco, con la mia Twingo Cabrio, sventolando il bandierone gialloverde! Emozioni indelebili! Il più brutto è legato alla mia prima non-riconferma, alla Tritium. Arrivò inaspettata, dopo la vittoria di un campionato giocato da titolare, con due gol all’attivo. Una doccia gelata! Credevo tanto in quel progetto ed è stato come se avessero tolto il giocattolo a un bambino. Ma pazienza, posso dire che mi ha fatto crescere”.
C’è un dirigente con cui avresti voluto lavorare? E un giocatore?
D.M.: “Se parliamo di dirigenti, non posso non pensare al mitico Piero Pellegrinelli. Me l’ha pure chiesto, qualche anno fa, di fare il dirigente. Mai dire mai (sorride sornione, n.d.r.). E i giocatori, quelli sarebbero troppi. E tanti non hanno ancora smesso”.
M.P.: “Direi di no, in entrambi i casi. Ho avuto la fortuna di giocare con tanti giocatori al top, del calcio dilettantistico. A mio modo di vedere, mi ritengo fortunato”.
Il tuo sogno nel cassetto.
D.M.: “Diventare padre. Alla mia età, sarebbe anche ora!!”.
M.P.: “Diventare papà”.
E in ambito calcistico, qual è la tua ambizione?
D.M.: “In ambito calcistico mi vedrei bene come talent scout”.
M.P.: “Sogno di diventare allenatore e di superare i limiti che mi hanno fermato da giocatore. Sogno di andare oltre”.
Una persona cui sarai sempre grato.
D.M.: “Facciamo due persone, i miei genitori. Sarà forse un po’ scontato, ma davvero più maturo e più mi rendo conto di essere stato davvero fortunato”.
M.P.: “Sarò sempre grato ai miei genitori, per l’educazione che mi hanno dato. Ma se devo fare un nome, è mia moglie. Lei è la persona che ha dato colore alla mia vita”.
Un tuo pregio e un tuo difetto.
D.M.: “Come difetto penso di essere un po’ testardo. Ma sono molto buono (e ride compiaciuto, n.d.r.)”.
M.P.: “Quale pregio, penso di essere una persona buona, forse troppo. E questo a volte può essere un difetto. Ma il mio difetto peggiore è che sono maledettamente testardo”.
Un pregio e un difetto dell’altro.
D.M.: “Pedro è sincero, da uomo vero quale è. L’unico difetto… è che ora abita a Milano e ci vediamo raramente (sorride scherzoso, n.d.r.)”.
M.P.: “Quale suo pregio, direi la bontà. Caratterialmente siamo simili, non ricordo una discussione fatta con lui. Il difetto? Amici o non, lui anche in allenamento ti martellava le caviglie (ride a crepapelle, ricordando le sedute di allenamento trascorse insieme, n.d.r.)”.
Ricordi quando vi siete conosciuti?
D.M.: “Ci siamo conosciuti quando Pedro è salito giovanissimo in prima squadra. In uno dei primi allenamenti in ritiro, mi è entrato in scivolata…ho ancora il segno sulla tibia”.
M.P.: “Ci siamo conosciuti al mio primo ritiro in prima squadra al Lemine. Avevo 17 anni e ricordo che lui, fin dal primo giorno, mi aveva preso in simpatia. Così ad ogni trasferta ero in macchina con lui. È una persona che ho sempre stimato, dentro e fuori dal campo. Insieme a bomber Andrea Perico, è stata la mia guida, l’esempio da seguire. Gli otto anni passati insieme sono i migliori”.
Un bilancio del vostro percorso assieme.
D.M.: “È stato un rapporto in crescendo, sincero e divertente. Con il passare degli anni, cambiavano i compagni ma noi formavamo lo zoccolo della squadra. Abbiamo condiviso importanti successi, come la vittoria di un campionato, la vittoria dei playoff e gli scontri-salvezza nei playout. E un’amara delusione per la retrocessione. Insomma, delle belle montagne russe calcistiche; saliscendi emozionanti, vissuti sempre con voglia e determinazione. Siamo dei duri!”.
M.P.: “Bilancio più che positivo, direi. In otto anni, ci siamo ritagliati diverse soddisfazioni”.
Tu e lui come…a quale coppia vi ispirate?
D.M.: “Materazzi e Maicon. Io che randello dietro e lui che galoppa in fascia. Oppure, Totti e De Rossi: il Capitano e “Capitan Futuro””.
M.P.: “Non saprei. Quella che forse si avvicina di più? Materazzi, per lui. Fabio Grosso, per me (ride compiaciuto, n.d.r.)”.
Il più bel ricordo che hai in sua compagnia.
D.M.: “Ne abbiamo combinata una davvero bella, quando abbiamo deciso di fare una maglietta celebrativa ad Andrea Perico, perché aveva detto che a fine anno ci lasciava. “7 bellissimi anni, grazie di tutto”: era lì bella che pronta. Risultato? Io e Pedro in estate lasciamo il Lemine e lui rimane (e giù risate fragorose, n.d.r.)”.
M.P.: “Non si può parlare di un ricordo solo. Al di là delle vittorie sul campo, ci sono le risate che ci siamo fatti insieme: quelle non le batte nessuno. E poi lui è il numero uno delle imitazioni, ma anche io me la cavo. Non si è salvato un mister, o un dirigente, da noi due (ride di gran gusto, riportando alla mente vecchi siparietti in terra almennese, n.d.r.)”.
Manda un saluto all’altro.
D.M.: “Ciao Pedro, se va avanti così ci rivediamo in campo per la partita d’addio al calcio!”.
M.P.: “Ciao Pibe. Se non ci vedremo più in uno spogliatoio insieme, sicuramente ci troveremo su qualche montagna orobica, perché lì ti devo ancora battere!”.
Nikolas Semperboni