di Matteo Bonfanti
Sabato era la festa di mia madre, ieri di tutte, anche delle mamme che stanno in America oppure nel deserto o al polo dove fa sempre freddo. Guardavo i miei bambini con mia moglie e mi immaginavo i diversi abbracci che si fanno nel mondo, a seconda della latitudine, perché tra i ghiacci si può stare anche appiccicati per un’ora, non si suda, anzi si fa qualcosa di utile: ci si scambia il caldo. All’equatore è diverso, pensavo, che col sole a picco si fa una fatica boia persino a darsi un bacio sulla guancia. Finisce che se stai troppo attaccato a tua madre, devi farti una doccia. Quindi, mi sono detto, qui in Lombardia siamo fortunati che il 10 maggio non si schiatta. Approfittiamone e mi sono stretto a Valeria che ha compiuto 64 anni. Era un sacco che non lo facevo e mi ero dimenticato fosse tanto piacevole. Nel contatto sentivo che l’energia del mio corpo raddoppiava, rendendomi più forte, per una volta sicuro, non sbilenco come sono in questo periodo. Ho pensato: è straordinario, ma è pure una cosa normale, del resto arrivo da lì, da quella pancia, la fibra è identica, ciò che sento ha un senso. Insomma è logico, come direbbero a Bologna.
Questa volta non parlo di me, dei miei ricordi d’infanzia. Commuovono e mi fanno piangere a dirotto perché sono stato il primo figlio di separati a Lecco che allora era la città di Comunione e Liberazione, di Formigoni e dei suoi amici. Il mio è stato un viaggio bellissimo, perché ero piccolo piccolo, ma già grande perché i miei mi facevano prendere il pullman per andare da una casa all’altra. E tra me e mia mamma pareva di essere in un film, l’atmosfera era quella, poetica e surreale, di Amarcord, di Amelie, degli Amanti del circolo polare artico. Perché Valeria era giovane, bella, sognante, sola, nel casino e con addosso una fottuta paura del silenzio. Arrivava e inondava me e mia sorella di parole, spesso allegre, sempre dolcissime, a volte malinconiche. Me le porto addosso, sono l’eredità che mi ha dato. E passo la vita a scrivere per ritrovarle, ogni tanto, tra le pieghe dei miei articoli.
Parentesi conclusa. Avanti col trattato scientifico sulla festa della mamma. Si nasce e si sta sempre addosso, 24 ore su 24 e non esagero. C’è di più, non sono solo abbracci e coccole varie, ci si attacca persino alla tetta, si tenta, insomma, di mangiarsi chi ti ha fatto. Così nei primi diciotto mesi di vita. Poi il contatto diminuisce, gradualmente. A sette e nove anni, l’età dei miei figli, c’è soprattutto quando si va a letto, un’oretta appiccicati a chi ti ha messo al mondo per una notte di sogni tranquilli. Passa un attimo e cambia tutto: dai dieci ai venti si litiga, dai venti ai trenta le si chiedono dei consigli, dai trenta ai quaranta dei soldi, parecchi, perché si è perennemente a bolletta. Dopo non so. Penso che i ruoli s’invertano: la propria madre va curata, uguale a come faceva lei quando eri bambino. La si lava, le si dà da mangiare, la si mette a letto con una bella storia che la fa dormire in relax.
Prima di allora, un paio di volte all’anno, ho deciso di rifarmi la strada fatta fin qui, che ammetto mi è piaciuta moltissimo. Comincio il mese prossimo: una settimana di vacanza a casa di mia mamma da neonato. Dirò solo “nghe, nghe”, le salterò sulla pancia coi miei ottanta chili tondi tondi, rannicchiato quando dormiamo, mi studierò qualcosa per farmi allattare di nuovo, una pompetta da applicare al seno, sto giro senza latte, ma piena di birra. A settembre torno ai cinque anni: dieci giorni in montagna con tutta la mia famiglia originaria, invito anche mio babbo a patto che i miei genitori stiano spesso a litigare. Cerco un albergo col letto a castello, come l’avevamo io e mia sorella Chiara. Fingerò che mi sia tornata la paura del buio per chiedere ai miei di dormire con loro nel lettone. E di mattina passeggiatona nei campi mano nella mano. Sarà meraviglioso. Sembreremo quattro matti. Vi consiglio l’esperienza, soprattutto se siete figli di separati. Nel 2016 altre due tappe: a gennaio faccio l’adolescente incazzoso, a giugno il venticinquenne dandy e balordo. Speriamo di non stressare eccessivamente mia mamma. Che amo e che ha una pazienza infinita. Come tutte le madri, che si meritano una festa. Auguri in ritardo di un giorno. La colpa non è nostra, ma di un hacker che ieri ha attaccato il nostro sito. Forse è un orfano, poverino.

NELLA FOTO – Mia sorella, mia mamma e pure io nell’anno 1979