Sassi e carezze, sorrisi, risate, lacrime e poi nuvole come tappeti volanti e lune a fettine a picco sul mare. Quindi, visto chi è che oggi fa il compleanno, rovesciate, gol e assist come se piovesse, il numero cinque che sta in panchina perché si è alzato male stamattina, il ragazzo col sette che ormai è grande e non ha più paura di tirare un calcio di rigore all’ultimo minuto e col Berbenno sotto di una rete. Filippo, il nostro Filippo, il nostro inviato in Valle Imagna, insomma Filippo Salvi, una delle nostre migliori firme, oggi compie diciotto anni, che è l’età per decidere dove si va e dove si finirà in un futuro lavorativo che a un anno dalla maturità è già un presente da decifrare. Intanto gli auguri, che diventare maggiorenne è qualcosa da celebrare, anche solo per quanto è drammatica e faticosa e lastricata di buone intenzioni la scuola in Italia, coi professori che non ti chiedono mai se sei felice, ma pretendono, sempre e comunque, persino se hai il cuore a pezzi e l’anima in Honduras, quindi le mie parole, quelle del direttore, silenziose e leggere mentre tutti gli altri fanno rumore. Gli dicono “il giornalismo, oramai, può essere solo una passione, mettiti in qualcosa di più redditizio, studia ingegneria, tu che hai una bella testa…”. Le stesse frasi, nell’estate della quarta superiore, le ho sentite anche io, che, proprio come Filippo, scrivevo già da un paio d’anni, non di sport, ma di cronaca locale. Per questo il mio consiglio al nostro collaboratore non può che essere quello di seguire i propri sogni, vista la stoffa, fottendosene altamente di chi pensa che il vil denaro sia la soluzione all’esistenza.
Intanto un obbligo, caro Filippo: fai quello che più ti piace, perché la vita è una e va straveloce e magari nella prossima ci si reincarna in una formica operaia e la si passa a fare dei formicai, che, magari, è pure un’occupazione bellina, di gruppo, ma non è la cosa sognata. I soldi, lo vedo ogni giorno, non danno la felicità. Chi li sceglie spesso si incasina in vicoli oscuri senza porte né finestre. Però, più di tutto, c’è quel meraviglioso viaggio che sono le parole. Possono essere sassi o carezze, sorrisi, risate, lacrime, nuvole come tappeti volanti o lune a fettine a picco sul mare. Saperne la forza, frequentarla, è un superpotere, tipo Superman quando gli piomba addosso la criptonite o Spiderman punto dal ragno. Chi ha addosso le frasi, chi le abbraccia, chi le scrive, chi se le gode tenendosele strette tra le dita, non ha limiti. Lo coccolano nel sole e nel vento, nel sorriso e nel pianto, lo fanno andare avanti senza farsi troppo male, lo fanno innamorare, gli fanno compagnia, ridere e cantare, giocare, piangere, commuoversi, conoscere, studiare e scherzare, vivere al massimo, nel pieno, nella piena o seduto in riva a un fosso.
Diversamente da Filippo non possiedo il benché minimo talento, non ho il fuoco sacro, nel giornalismo ci sono finito per caso, perché avevo bisogno di cinquantamila lire e la figlia del proprietario della macelleria di Ballabio mi aveva appena lasciato e licenziato. Eppure ringrazio quel giorno, ancora glabro e innocente, il mio primo in una redazione scassata, uguale a un’astronave, solo priva di comandanti, a cazzo, stupenda, messo immediatamente a mettere in fila le parole su un convegno per migliorare la vita ai down lariani. Scrivere mi salva ora e mi ha sempre salvato. Se scrivi, non sei mai solo. Se scrivi, sei molto di più.
Non sono ricco e non lo diventerò mai. I soldi, in Italia, li fanno altri, imbazzati, incasinati, che non sono felici come me e che non lo saranno mai, manco alla guida di una Porsche lanciata verso il mare e Ferragosto. Sicché, che è una parola che amo per via delle sue mille sfaccettature, Filippo, Filippo bravissimo e pieno di grazia, Filippo Salvi, fottitene di chi ti dice che il nostro è un mestiere sfigato, una rogna, la peggio possibile. Coltiva il tuo talento, ti darà da campare, il giusto, quello che ti servirà per stare lontano dai guai. Ma, e dico soprattutto, ti permetterà sempre di sognare, che qui e ora, di gente che sogna non ne è rimasta tanta, uno su mille, la nostra elite, noi giornalisti, i più fortunati al mondo.
Matteo Bonfanti