Sabato sono al Gewiss con un mio caro amico, il Gigio, Gigi Foppa, che è un imprenditore in gambissima, ma anche un uomo buono, uno di quelli veri, che con me c’è sempre stato, nel sorriso e nel vento, nel sole e nel pianto, nella gioia, nel casino e nel dolore. Finita la partita, aspettiamo un dirigente della Samp che è suo socio da una vita. Si sono ripromessi di salutarsi a un anno di distanza perché hanno mille cose da dirsi e almeno un centinaio di abbracci da darsi. Così io e il Gigio siamo al Lazzaretto, fuori dagli spogliatoi, a congelarci il giusto, aspettando che il tipo finisca la ramanzina alla sua squadra, apparsa persa e perduta, insomma a rischio Serie B. Dopo un momento con la mia Luciana, che fa la steward per il club di Percassi, e che con i suoi video è una mezza gamba di salvezza del giornale di cui sono il direttore, va detto a volte irresponsabile, ecco Berat Djimsiti. Il gigante difensivo, un armadio, si concede ai ragazzini, fa foto e regala sorrisi, una dozzina di selfie, poi corre da Gigi che conosce e stima. Mi vede e vuole sapere cosa pensiamo della sua prestazione, insieme gli diciamo quanto visto, il migliore, mai una palla buttata, ogni volta a ragionarla partendo da dietro con classe e senza paura. Gli sorridono gli occhi, mi sembra il mio bambino, Zeno, quasi quindici anni, a tavola domenica a pranzo dopo la prima volta con la fascia sul braccio, capitano dei Giovanissimi del Ranica. Gigi, che fa l’ottico, è una persona meravigliosa. E’ irresistibile, piacevole, colora arcobaleni tutti intorno, rompendo le distanze. Faccio come lui e cerco anch’io di prendermi cura di Berat, albanese come il mio migliore amico, Ermallo, come me nato sotto il segno dell’acquario, e che ha l’età di mio nipote, Pietro. Gli dico “Hai mangiato?”, mi dice “Non mangio mai dopo la partita… E’ l’adrenalina. E’ troppa l’emozione, il calore dei tifosi, l’amore che sento dentro… La fame mi verrà domani mattina”.
E poi arriva Marten, Martino, un altro innamorato di Gigi. Ridono e scherzano, poi uno dei centrocampisti più forti dell’attuale Serie A si fa serio. E’ carino e intelligente, buono: “Sai, Gigio, mi manca un po’ il mio Remo, anche se coi telefonini è facile sentirsi. Ci mandiamo tante foto, ma lui è là, al freddo. Insomma averlo in squadra è un’altra cosa”. Tralascio di raccontare dello zainetto di Højlund, probabilmente il nuovo Van Basten, a piedi verso casa, identico a un ragazzino nordico in gita nella capitale della cultura, il suo sorriso da parte a parte al mio “you’re so great”.
Questo minuscolo racconto per dire due cose. La prima che l’Atalanta è fantastica perché ha campioni a misura d’uomo, sensibili e che si emozionano, disponibili e normali, di cuore. La seconda di ricordarci sempre, noi giornalisti, che sono ragazzi, da proteggere anche se hanno i milioni, uguali ai nostri, da non accoppare se delle volte giocano male. Poi c’è una terza, che col Gigi Foppa accanto mi succede ogni sera qualcosa di straordinario, ma questa è una cosa mia, alquanto personale.
Matteo Bonfanti