di Matteo Bonfanti
Guardo fuori dal nostro ufficio di piazzale San Paolo e cerco il Vesuvio. Oppure l’Etna o un altro vulcano di quelli che ci sono al Sud per spaventare un po’ la gente che ci sta intorno. Ma qui di crateri non ce ne sono. E non c’è manco il mare che a voi vi somiglia. All’orizzonte avete solo un sacco di montagne, alte, belle e verdi, come da me, a Lecco, la mia città natale, che è a un passo dalla Svizzera, da Heidi, da suo nonno, dalla terribile signorina Rottermaier, dalla Mitteleuropa che tanto si vergogna di Silvio, della Minetti e delle sue fantastiche olgettine. A Bergamo non succede. Nicole è la fantasia sessuale imperante nei lunghi aperitivi che iniziano alle sei di sera. E lo sciupafemmine Berlusconi è tutto fuorché motivo di imbarazzo. Il Cavaliere piace. Anzi, è un idolo, al pari di Bossi che ha sposato una siciliana, forse per imparare a memoria il pensiero dei movimenti indipendentisti di Palermo nel lontano 1943. Magari con più garbo, ma i loro rappresentati dicevano più o meno le stesse cose, il cià cià cià “che Roma è ladrona e che, quindi, le tasse non vanno pagate, altrimenti si fa la rivoluzione”. L’ha minacciata Canepa, che poi l’insurrezione l’ha fatta proprio, lo ripete agli orobici Daniele Belotti, atalantino doc, un passato da nababbo in consiglio regionale, uno che se in Italia cambia anche solo una virgola, ha parecchio da perderci. Un sacco di voti.
E il calcio? Non me ne voglia il Bocia che come mediano mi fa impazzire perché mi somiglia (grinta, corsa e parole giuste nello spogliatoio, forza Ares Redona), ma cosa vi differenzia dalla tifoseria partenopea? Una sconfitta dopo una partita col Cagliari e in città pare scoppiato il finimondo. Viene in mente la canzone di Freak Antoni, quella della passione forte che sprizza da ogni parte. Scene di incazzatura collettiva persino al Blupuro, qui accanto alla nostra redazione, bar gestito da cinesi. Gruppo di ultrà nerazzurri a bersi un paio di birrette, fosse arrivato mister Colantuono (il principale colpevole secondo gli atalantologi più famosi), se lo sarebbero pappato a morsi, partendo dalle orecchie. Persino Giacomo Mayer, la nostra prima firma, uno colto, che nell’anno Sessantotto si è letto tutto il Capitale di Karl Marx, i pensieri di Lenin e qualcosina persino dell’inafferrabile Bakunin. Domenica, Giacomo, a fine partita, avrebbe tirato un cazzotto al mister, colpevole di non avere le idee chiare sul modulo e di aver sbagliato preparazione. Povero Stefano, che è di Anzio, non è di Taormina, e non è abituato a questo vostro incredibile ardore. Che c’è dappertutto.
In Borgo Santa Caterina, dove abito, soprattutto. L’altro giorno c’era la processione di Santa Maria, un intero quartiere dietro alla statua di una Madonna disperata, attaccata al figlio morente: solo in Puglia ho visto tanto strazio. Una flotta di vecchine recitava il rosario. E un paio di loro si sono pure incazzate: io e i miei figli Vinicio e Zeno seduti sul marciapiede a mangiare patatine, tutti e tre con la Coca Cola in mano, a goderci lo spettacolo. E non si fa. La più vispa, avrà avuto ottant’anni, mi ha detto: “Non è il caso, ci sono qui anche (ill’) Eco e Bergamo Tv, alzatevi subito, mettetevi nel corteo. E pregate in silenzio”. Mi sono chiesto se stessi sognando. Se fossi finito ad Agrigento. O nel Salento.
Restando in casa, o, meglio, appena fuori: sipario sul cortile del civico numero 3A. Sono le otto e per i bergamaschi è già ora, per i giornalisti, la categoria di cui faccio parte, è, invece, l’alba dei morti viventi che siamo appunto noi che scriviamo quando ci tocca la sciagura di tirarci in piedi come i comuni mortali. Oppure nella malaugurata ipotesi che la nostra finestra sia rimasta aperta dalla notte prima. Perché lì sotto, la mattina, è una guerra: scarica di campane a morte dalla vicina parrocchiale; quella di sopra che va a lavorare in motorino (accende e dà di gas, poi prende la rincorsa e, sempre a manetta, supera il portone facendo un mezzo carpiato, botta per richiuderlo e conseguente boato da stadio); musica indipendente americana a nord ovest; rombo dell’Harley del signore di fronte. E alle nove iniziano le pulizie. E si parte con il lancio dei vetri nel cassonetto verde. Avete presente Claudio Bisio in Benvenuti al Sud quando mette in scena alla moglie brianzola il peggio di Napulè? Avrebbe potuto girarla da noi, nel Borgo d’oro.
Tralascio le mie esperienze sentimentali, anche se va detto che le fidanzate bergamasche, in quanto a gelosia, alle sicule fanno un baffo. Segnalo invece che anche qui ci sono i “clan”, come a Caserta. Va detto che da noi non si spara né si minaccia e neppure si fanno morti ammazzati. Ma c’è comunque la logica che tra adepti ci si dà una mano. E di club di potere ce n’è per tutti i gusti, il più numeroso è quello legato alla Curia (leggasi la triplice: L’Eco, la Compagnia delle Opere e l’Atalanta), poi Confindustria, le piccole e medie imprese e i commercianti. Persino io ho il mio piccolo gruppo di ascolto, bergamaschi straordinari per simpatia, intelligenza e generosità. Mi hanno scelto e ne sono onorato. Non mancano mai di aiutarmi, di consigliarmi, di coccolarmi. Tra amici non succede. Capita in famiglia, in ogni sacra famiglia che si rispetti.
Noi bergamaschi siamo terroni. E dico noi perché è tredici anni che sono qui e a Bergamo sono nati i miei figli e a Bergamo resterò per sempre. Magari ironica, ma la mia è una dichiarazione d’amore verso un popolo che vive al Nord, facendo il chiasso che fanno giù al Sud, mettendoci, in ogni cosa, una smisurata passione. Quaranta chilometri più in là, a Lecco, sono tutti così freddi. Sarà il lago, che è gelido persino a Ferragosto, sarà che, come canta Van De Sfroos, lì si è figli di spalloni nati in una terra di confine. E se si fanno certi traffici, bisogna stare belli schisci. Sul Lario simili agli orobici ci sono solo quelli delle case Gescal di via Milazzo, complesso meglio conosciuto come Catanzaro Residence. In quei casermoni popolari abitano i miei amici migliori che un giorno sì e l’altro pure prendono l’auto per venire a trovarmi a Bergamo, una delle poche città lombarde che amano alla follia.